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Meno sale, pressione giù: miglior risposta da anziani

Ridurre il sale non è difficile: a tavola più aromi, spezie, aceto e limone aiutano, in maniera graduale, ad abituare il nostro palato a cibi meno salati

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Meno sale a tavola e pressione arteriosa più bassa: la relazione nella dieta mostra maggiori evidenze negli anziani secondo nuovi studi

L’entità della diminuzione dei livelli di pressione arteriosa ottenuta con la riduzione dell’assunzione di sodio con la dieta mostrato una relazione dose-risposta ed è maggiore nelle persone più anziane, non caucasiche e con valori pressori più elevati al basale.

Inoltre, gli studi a breve termine sottostimano l’effetto della restrizione sodica sulla pressione sanguigna. Sono questi i risultati di una revisione sistematica con meta-analisi pubblicata sul “British Medical Journal”.

«Un alto livello di pressione arteriosa rappresenta il principale fattore modificabile di rischio per malattie cardiovascolari (CVD), che hanno causato almeno 17,8 milioni di morti nel mondo nel 2017» premettono gli autori, coordinati da Feng J. He, professore di Ricerca sulla salute globale presso il Wolfson Institute of Preventive Medicine, Barts and the London School of Medicine and Dentistry, Queen Mary University di Londra (UK).

È acclarato che un maggiore apporto di sale nella dieta è associato a un livello più elevato di pressione arteriosa. «Il fabbisogno fisiologico di sodio nell’uomo è inferiore a 1 g al giorno, ma attualmente la maggior parte delle popolazioni consuma un livello molto più elevato» osservano i ricercatori.

L’assunzione giornaliera massima di sodio dietetico raccomandata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) – ricordano He e colleghi – è di 2 g (5 g di sale) per gli adulti e la maggior parte dei paesi raccomanda di ridurre l’assunzione a meno di 2,4 g al giorno come parte di un approccio dietetico atto a prevenire l’ipertensione e le CVD.

In ogni caso, il rapporto tra gli effetti della restrizione del sale e il rischio di CVD è controverso. Se c’è consenso sul beneficio di una diminuzione dell’intake di sodio nella popolazione generale, alcuni ritengono che i vantaggi nelle persone normotese siano scarsi oppure controproducenti per un possibile aumento dei lipidi sierici.

Anche gli studi condotti finora spesso presentano problemi metodologici. La stima dell’assunzione di sale ricavato da campioni di urina frazionata  può produrre sovrastime quando l’intake è basso oppure sottostime quando è alto, spiegano gli autori. Inoltre, aggiungono, gli studi a breve termine – rispetto a quelli a più lungo periodo – possono produrre dati confondenti prodotti dagli effetti medi della variazione dell’intake di sale sulla pressione arteriosa.

Per questo motivo il gruppo di He ha inteso esaminare la relazione dose-risposta tra riduzione del sodio nella dieta e variazione della pressione arteriosa ed esplorare l’impatto della durata dell’intervento applicando criteri di inclusione più restrittivi rispetto alle precedenti revisioni, in particolare seguendo le linee guida PRISMA.

Mai così stringenti i criteri per la selezione dei dati
Come fonti gli autori si sono basati su importanti archivi elettronici quali Ovid MEDLINE, EMBASE e il Cochrane Central Register of Controlled Trials, oltre che su elenchi di riferimento di articoli pertinenti, pubblicati fino al 21 gennaio 2019. Sono stati selezionati studi randomizzati che hanno confrontato i diversi livelli di assunzione di sodio rilevati in popolazioni adulte con stime di assunzione effettuate utilizzando l’escrezione di sodio nelle urine nelle 24 ore.

In particolare, sono stati inclusi solo studi con allocazione casuale dei partecipanti alla riduzione dell’assunzione di sodio nella dieta e all’assunzione normale/più alta di sodio nella dieta (cioè controlli).

In questa fase erano coinvolti tre revisori. Due di questi hanno eseguito uno screening degli studi in modo indipendente per valutarne l’eleggibilità. Un revisore ha quindi estratto tutti i dati mentre gli altri due ne hanno esaminato l’accuratezza. Insieme hanno infine eseguito meta-analisi a effetti casuali, analisi di sottogruppi e una meta-regressione.

I risultati principali, in cifre
Nel complesso sono stati inclusi 133 studi per un totale di 12.197 partecipanti. Queste le riduzioni medie osservate:

Ogni riduzione di 50 mmol nell’escrezione di sodio nelle 24 ore era associata a una riduzione di 1,10 mm Hg (IC al 95% da 0,66 a 1,54; P <0,001) in SBP e una riduzione di 0,33 mm Hg (da 0,04 a 0,63; P = 0,03) in DBP.

«Sono state osservate riduzioni della pressione arteriosa in diversi sottogruppi di popolazione esaminati, inclusi individui ipertesi e non ipertesi» sottolineano i ricercatori. Inoltre, come già accennato, per la stessa riduzione di sodio urinario nelle 24 ore, vi è stata una maggiore riduzione di SBP nelle persone anziane, nelle popolazioni non caucasiche e in quelle con livelli basali di SBP più elevati.

In studi di durata inferiore a 15 giorni, sottolineano gli autori, ogni riduzione di 50 mmol nell’escrezione urinaria di sodio nelle 24 ore è risultata associata a una diminuzione di 1,05 mm Hg (IC al 95% da 0,40 a 1,70; P = 0,002) di SBP, meno della metà dell’effetto osservato negli studi di durata più lunga (2,13 mm Hg; IC al 95% da 0,85 a 3,40; P = 0,002).

Cinque punti da ricordare su ridotta assunzione di sodio ed effetto anti-ipertensivo

  1. La riduzione dell’assunzione di sale porta a una significativa riduzione della pressione arteriosa sistolica negli adulti, sia di sesso femminile che maschile, di tutti i gruppi etnici e nelle popolazioni ipertese e normotese.
  2. Anche la pressione arteriosa diastolica diminuisce significativamente nella maggior parte dei casi.
  3. Esiste una relazione dose-risposta per cui una maggiore riduzione dell’assunzione di sodio produce una maggiore diminuzione della pressione arteriosa.
  4. Le popolazioni di età avanzata e con valori pressori più alti al basale – a parità di riduzione di assunzione di sodio – conseguono un maggiore abbassamento della pressione arteriosa.
  5. La durata dell’intervento di restrizione del sodio non appare associata all’entità della variazione pressoria (anche se studi a breve termine – di durata inferiore a 15 giorni – sembrano sottostimare l’effetto della riduzione dell’intake di sodio sui valori pressori).

«Con pochi studi a lungo termine disponibili, sono necessarie ulteriori ricerche per trarre una conclusione definitiva sul fatto che una riduzione prolungata del sale a tavola influenzi l’entità dell’abbassamento della pressione arteriosa» concludono gli autori.

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