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ONU mette sotto accusa l’alimentare italiano

Caporalato, basse retribuzioni, sfuttamento dei clandestini: l'agroalimentare italiano sotto accusa in un Rapporto ONU stilato da Hilal Elver

Caporalato, basse retribuzioni, sfuttamento dei clandestini: l’agroalimentare italiano sotto accusa in un Rapporto ONU stilato da Hilal Elver

L’inviata dell’Onu, Hilal Elver, ha visitato Lazio, Lombardia, Toscana, Piemonte, Puglia e Sicilia. L’esperta di diritti umani delle Nazioni Unite ha redatto alla fine un rapporto ufficiale che è un durissimo atto d’accusa per il sistema alimentare italiano: “la manodopera è sfruttata dal sofisticato sistema alimentare dell’Italia”.

Senza mezzi termini, scrive Hilal Elver: “malgrado un Pil stimato di 2,84 mila miliardi di dollari, imprese innovative rinomate nel mondo, un vasto settore agricolo e un’industria manifatturiera moderna, i lavoratori e piccoli agricoltori portano un pesante fardello e sono sfruttati dalla sofisticata industria alimentare italiana”.

Le accuse, spiega Garantitaly, fanno tremare la coscienza civile perché l’inviata dell’Onu ha riscontrato orari eccessivamente lunghi, salari troppo bassi per coprire i bisogni elementari, e soprattutto “migranti senza documenti, lasciati in un limbo, senza poter accedere a lavori regolari”. E secondo l’Onu, metà della manodopera agricola italiana è costituita da migranti, per lo più irregolari.

Anzi, l’esperta di diritti umani esprime una pesantissima critica al cosiddetto “Decreto Sicurezza” voluto dall’allora Ministro degli interni, Matteo Salvini: “ha contribuito alla crescita dei migranti senza documenti e alla ‘illegalizzazione’ dei richiedenti asilo spingendo sempre più persone nel lavoro irregolare. Ci sono (in Italia) circa 680.000 migranti senza documenti, due volte quanti ce ne erano solo cinque anni fa”.

Nel rapporto Onu si trova la conferma di un dato più volte denunciato da molte associazioni di volontariato sociale: circa la metà della manodopera del settore agricolo, quindi fra i 450 mila a mezzo milione di persone, è costituita da braccianti migranti che, da nord a sud, lavorano la terra o accudiscono il bestiame senza adeguate protezioni legali o sociali.

Ancor più grave è che queste persone sono oggettivamente sotto ricatto, con la “minaccia costante di perdere il lavoro, di venire rimpatriati con la forza o di diventare oggetto di violenze fisiche e morali. Lavoratori stagionali e non stagionali trovano spesso nel sistema del caporalato la sola possibilità di vendere la loro manodopera e di ottenere una paga”.

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