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Ictus ischemico: cardiomiopatie possibile causa

La somministrazione di ApTOLL, antagonista del recettore TOLL-like 4 (TLR4), entro 6 ore dall'ictus ischemico acuto, insieme al trattamento endovascolare, è risultato correlata a una riduzione della mortalità e della disabilità a 90 giorni rispetto al placebo. È questo il risultato di uno studio di fase 1a/2b presentato a Dallas, nel corso dei lavori dell’American Stroke Association’s International Stroke Conference. «ApTOLL è un antagonista TLR4 con comprovati effetto neuroprotettivo preclinico e profilo di sicurezza in volontari sani» hanno scritto i ricercatori guidati da Macarena Hernandez, professoressa di Ricerca Neurovascolare presso l'Università Complutense di Madrid. Studio multicentrico in doppio cieco, randomizzato, controllato con placebo Hernandez e colleghi hanno cercato di valutare la sicurezza e l'efficacia di ApTOLL combinato con il trattamento endovascolare in pazienti con ictus ischemico, conducendo uno studio multicentrico, di fase 1b/2a, in doppio cieco, randomizzato, controllato con placebo. Hanno arruolato individui di età compresa tra 18 e 90 anni con ictus ischemico e occlusione dei grandi vasi entro una finestra terapeutica di 6 ore. Tutti i partecipanti avevano un Alberta Stroke Program Early CT Score tra 5 e 10, con un volume stimato del nucleo (core) dell'infarto all’esame di perfusione TC compreso tra 5 e 70 ml. Nella fase 1b dello studio, 32 individui sono stati randomizzati a ricevere dosi crescenti di ApTOLL (0,025, 0,05, 0,1 e 0,2 mg/kg) o placebo, con le due migliori dosi – basate su criteri di sicurezza – selezionate per lo studio di fase 2. Tutti i pazienti hanno ricevuto un trattamento endovascolare. Molto efficace solo la dose più alta del farmaco L’esito primario di interesse era la sicurezza, compresa l'incidenza di morte e altri eventi avversi, mentre gli endpoint secondari di efficacia includevano il volume dell'infarto a 72 ore tramite risonanza magnetica, il NIH Stroke Scale Score (NIHSS) a 72 ore e la disabilità a 90 giorni, misurata mediante scala di Rankin modificata (mRS). Le dosi di 0,05 mg/kg e 0,2 mg/kg sono state selezionate per la seconda fase dello studio, avvenuta tra luglio 2021 e aprile 2022. Un totale di 119 pazienti sono stati assegnati a 0,05 mg/kg (dose A, n = 36), 0,2 mg/kg (dose B, n = 36) o placebo (n = 47). I ricercatori hanno riportato 11 decessi a 90 giorni per la dose A, tre per la dose B e 10 per il placebo. La dose B ha ridotto il volume medio dell'infarto (–29,31 cc; 90% IC, da –49,28 a –9,34) e il NIHSS a 72 ore (–3,94; 90% IC, da -6,86 a –1,02) e ha ridotto la disabilità a 90 giorni (modificazione del mRS: OR = 0,41; 90% IC, 0,20-0,85). «Nell'ictus ischemico acuto, la somministrazione di 0,2 mg/kg di ApTOLL entro 6 ore dall'insorgenza dell’ictus in combinazione con trattamento endovascolare si è associata a una riduzione della mortalità e della disabilità a 90 giorni e a un profilo di sicurezza favorevole rispetto al placebo» hanno concluso Hernandez e colleghi. I messaggi-chiave La dose più elevata di ApTOLL ha mostrato un effetto neuroprotettivo, mentre la dose più bassa non ha evidenziato alcun effetto in confronto al placebo. A 90 giorni dal trattamento, i tassi di mortalità dei pazienti che avevano ricevuto la dose più alta del farmaco sono stati oltre quattro volte inferiori rispetto a quelli cui era stato somministrato il placebo: rispettivamente 4% contro 18%. Il 64% dei pazienti ai quali è stata somministrata la dose più elevata di ApTOLL era libero da disabilità a 90 giorni, contro il 47% del gruppo placebo. Gli esami di imaging effettuati 72 ore dopo il trattamento hanno rilevato come la dimensione del tessuto cerebrale danneggiato fosse ridotta del 40% tra i pazienti che avevano ricevuto la dose più elevata di ApTOLL rispetto a quelli del gruppo placebo. Fonte: Hernandez M, et al. A double-blind, placebo-controlled, randomized, phase 1b/2a clinical study of ApTOLL for the treatment of acute ischemic stroke. Presentato a: International Stroke Conference, Dallas.

Pazienti con ictus ischemico di origine sconosciuta possono avere cardiomiopatie sottostanti che potrebbero essere rilevate con la risonanza magnetica

Alcuni pazienti con un ictus ischemico di origine sconosciuta possono avere cardiomiopatie sottostanti che potrebbero essere rilevate con la risonanza magnetica cardiaca (RM). È quanto suggerisce un nuovo studio pubblicato su “Neurology”.

«Sebbene rare, le cardiomiopatie dovrebbero essere considerate come una possibile causa di ictus ischemico acuto» scrivono gli autori guidati da guidati da Ana Catarina Fonseca, dell’Hospital de Santa Maria di Lisbona. «La ricerca di cardiomiopatie dovrebbe includere la RM cardiaca quando l’ ecocardiografia è normale ma esiste un sospetto basato su motivi clinici o limitazioni diagnostiche ecocardiografiche note» specificano.

I ricercatori spiegano che, attualmente, la maggior parte delle classificazioni eziologiche dell’ictus considerano la cardiomiopatia dilatativa solo una possibile causa di ictus.
Tuttavia, studi recenti che hanno seguito in modo prospettico coorti di pazienti con cardiomiopatia ipertrofica , cardiomiopatia del ventricolo sinistro non compattato e cardiomiopatia restrittiva hanno mostrato che queste patologie sono associate a un aumentato rischio di ictus ischemico.

Indagine da effettuare dopo un’ecocardiografia non dirimente
Per questo studio, 132 pazienti (età media, 68 anni) con ictus ischemico di origine sconosciuta (dopo aver avuto un ecocardiogramma) sono stati sottoposti a RM cardiaca e in 7 pazienti (5,3%) è stata identificata una cardiomiopatia.

Quattro pazienti avevano cardiomiopatia ipertrofica, due avevano cardiomiopatia restrittiva e uno cardiomiopatia del ventricolo sinistro non compattato. Sei di questi pazienti erano stati classificati dopo una valutazione standard con ictus indeterminato e un paziente con ictus cardioembolico (fibrillazione atriale).

«Abbiamo riscontrato un tasso più elevato di cardiomiopatia in questi pazienti rispetto alla popolazione generale» scrivono Fonseca e colleghi. «Sebbene la frequenza delle cardiomiopatie che abbiamo riscontrato fosse bassa, è simile alla frequenza di altre cause di ictus che vengono sistematicamente ricercate in pazienti con ictus criptogenetico come infarto emicranico o vasculite primaria del sistema nervoso centrale».

Non crediamo che questo studio da solo sarà sufficiente a far raccomandare la RM a tutti i pazienti con un ictus di origine sconosciuta, precisano Fonseca e colleghi. Probabilmente c’è bisogno di uno studio più ampio e di alcune analisi di efficacia in termini di costi. «Forse, se vi fosse il sospetto che ci possa essere una cardiomiopatia, allora potrebbe essere eseguita una RM. Per esempio, se un paziente ha avuto un ictus di origine sconosciuta ed è relativamente giovane – tra i 50 e i 60 anni – e l’ECG mostra segni di ipertrofia ventricolare, si potrebbe prendere in considerazione una RM».

«Il nostro studio ha incluso solo pazienti portoghesi e poiché le cardiomiopatie si verificano con frequenze diverse in popolazioni diverse, abbiamo bisogno di uno studio multinazionale per confermare questi risultati» aggiungono gli autori. Fonseca e colleghi osservano che il rilevamento della cardiomiopatia potrebbe anche aiutare a decidere in merito al trattamento in corso.

Ricadute sulla scelta del trattamento medico, favoriti gli anticoagulanti
«Potremmo considerare di iniziare un anticoagulante per ridurre il rischio di ictus successivo» puntualizzano. Sebbene non sia noto con certezza se un anticoagulante sia preferibile a un antiaggregante per ridurre il rischio di ictus successivo in pazienti con cardiomiopatia, può essere preferibile l’uso di anticoagulanti in questi pazienti , poiché possono avere una maggiore tendenza a produrre coaguli.

Inoltre, i pazienti con cardiomiopatia devono essere indirizzati a un cardiologo per il follow-up in quanto hanno un aumentato rischio di aritmie e morte improvvisa, aggiungono Fonseca e colleghi. Nell’articolo su “Neurology”, i ricercatori riportano che i pazienti con cardiomiopatia ipertrofica sono noti per avere una probabilità da quattro a sei volte maggiore di sviluppo di AF rispetto alla popolazione generale. Inoltre, i trombi intracardiaci in pazienti con amiloidosi cardiaca sono comuni.

«Gli studi clinici che hanno studiato l’uso di anticoagulanti vs antipiastrinici in pazienti con ictus embolico o ictus indeterminato non hanno trovato alcuna differenza tra i 2 trattamenti» scrivono gli autori. «Sottogruppi specifici come i pazienti con cardiomiopatia in assenza di una diagnosi di AF probabilmente potrebbero trarre beneficio dall’anticoagulazione per la prevenzione secondaria».

«Mentre alcuni ricercatori raccomandano una profilassi con anticoagulanti a lungo termine per tutti i pazienti con cardiomiopatia del ventricolo sinistro non compattato, indipendentemente dal fatto che abbiano avuto complicanze tromboemboliche e indipendentemente dal grado di disfunzione ventricolare sinistra, questo è un punto su cui manca ancora consenso» affermano gli autori, aggiungendo che in un’analisi retrospettiva di 144 pazienti con questa cardiomiopatia, 22 (15%) ha avuto un ictus ischemico.

Uno studio pionieristico, secondo l’editoriale di commento
In un editoriale di commento, Gabriel R. de Freitas, dell’Universidade Federal Fluminense di Niteroi (Brasile) e Claudia Barreira, dell’Università di San Paolo del Brasile, notano che circa dal 9% al 25% dei pazienti con ictus ischemico ha un ictus embolico di origine sconosciuta (ESUS), con una recidiva annuale di ictus del 4,5% nonostante la terapia antipiastrinica.

Fanno inoltre notare che le forme più comuni di cardiomiopatia (ipertrofica e dilatativa) hanno una prevalenza di 1 adulto ogni 250-500. Sebbene le cardiomiopatie causino tipicamente ictus ischemico per AF, sono stati descritti anche eventi in pazienti senza aritmie; si pensa che questi siano il risultato di stasi e formazione di trombi nell’atrio sinistro. Le attuali linee guida non raccomandano la profilassi con anticoagulazione in pazienti con cardiomiopatie senza AF.

Gli editorialisti descrivono l’attuale studio come “pionieristico” in quanto suggerisce che le cardiomiopatie possano passare inosservate durante le indagini tradizionali e che possano causare ictus in pazienti classificati erroneamente come aventi una causa indeterminata, poiché la diagnosi delle cardiomiopatie avrebbe richiesto una RM cardiaca.
Lo studio «sottolinea che le cardiomiopatie potrebbero contribuire a un altro, probabilmente piccolo, pezzo del puzzle ESUS (ictus embolico di origine indeterminata)» scrivono.

«Tuttavia, la dimensione del campione relativamente piccola e la restrizione ai pazienti portoghesi sono limitazioni di questo lavoro ed evidenziano la necessità di replicare questo studio in una popolazione più ampia e multietnica» affermano. «Insieme, questi risultati ci portano a chiederci se la RM cardiaca debba diventare un test obbligatorio nei pazienti con ESUS».

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