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Demenze: Pimavanserina riduce deliri e allucinazioni

I farmaci anti IL-1 rappresentano un'opzione di trattamento sicura ed efficace nei pazienti affetti da febbre mediterranea familiare

Pimavanserina riduce deliri e allucinazioni non solo nel Parkinson ma anche in vari tipi di demenza secondo i risultati dello studio HARMONY di fase 3

La pimavanserina, un antipsicotico di seconda generazione approvato per il trattamento di allucinazioni e deliri nei pazienti con malattia di Parkinson (PD), può essere utile anche per i sintomi psicotici in pazienti affetti da demenza. È quanto risulta dai risultati dello studio HARMONY di fase 3, presentato alla conferenza “Clinical Trials on Alzheimer’s Disease” (CTAD 2019), a San Diego.

In effetti, questo studio è stato interrotto precocemente, dopo che un’analisi provvisoria di efficacia aveva stabilito che il trattamento con pimavanserina aveva raggiunto il suo endpoint primario – una triplice riduzione statisticamente significativa del rischio di recidiva (P < 0,0033), ha detto Erin P. Foff, responsabile clinico del “Dementia-related psychosis program” all’Arcadia Pharmaceuticals, produttrice del farmaco.

È importante sottolineare che la pimavanserina non ha influenzato in modo significativo la cognizione né, almeno in questo contesto controllato, ha sembrato aumentare le cadute o altri eventi avversi spesso osservati con l’uso di antipsicotici nei pazienti anziani, ha aggiunto.

Verso un’estensione di indicazione
Sulla base dei risultati positivi, Acadia intende presentare una nuova domanda supplementare del farmaco per questa indicazione. «C’è un bisogno critico di un intervento per i sintomi della psicosi in questa popolazione» ha spiegato Foff. «Abbiamo visto una risposta robusta che è stata ben tollerata e ben mantenuta senza alcun impatto negativo sui punteggi cognitivi».

L’antipsicotico di seconda generazione è stato approvato nel 2016 per il trattamento di allucinazioni e deliri nei pazienti con PD. Il farmaco è un antagonista selettivo dei recettori 5-HT2, con bassa affinità per i recettori della dopamina. Ciò lo differenzia leggermente dagli altri antipsicotici di seconda generazione che colpiscono i recettori della dopamina e i recettori 5-HT2.

Le evidenze favorevoli tratte dallo studio HARMONY
HARMONY non era un tipico studio di efficacia randomizzato controllato con placebo. Piuttosto, ha impiegato un disegno in due fasi: un periodo di risposta al trattamento in aperto seguito da una randomizzazione controllata con placebo limitata ai responder in aperto.

Complessivamente, HARMONY ha coinvolto 392 pazienti con demenza da lieve a grave di numerose eziologie, tra cui il morbo di Alzheimer (66,8%), la demenza da PD (14,3%), la demenza frontotemporale (1,8%), la demenza vascolare (9,7%) e la demenza con corpi di Lewy (7,4%). Tutti i pazienti sono entrati in un periodo di 12 settimane in aperto durante il quale hanno ricevuto pimavanserina al dosaggio di 34 mg al giorno.

L’endpoint primario era una combinazione di una riduzione di almeno il 30% alla “Scale for the Assessment of Positive Symptom–Hallucinations and Delusions” (SAPS-HD) più un punteggio di 1-2 (pari a “migliore” o “molto migliore”) sulla “Clinical Global Impressions–Improvement (CGI-I) scale” (CGI-I). A 12 settimane, tutti i pazienti sono stati quindi randomizzati al placebo o hanno continuato la terapia per 26 settimane. L’endpoint primario era la ricaduta, definita come un peggioramento di almeno il 30% della SAPS-HD rispetto alla linea di base in aperto, più un punteggio CGI-I di 6-7 (“peggiore” o “molto peggiore”).

I pazienti avevano un’età media di 74 anni. La maggior parte (circa il 90%) viveva a casa. Allucinazioni visive si sono verificate nell’80% e deliri nell’83%. Al basale, il punteggio medio SAPS-HD era di 24,4 e il punteggio medio CGI-Severity era di 4,7. Il punteggio medio Mini-Mental State Exam (MMSE) era di 16,7. Nel periodo in aperto, la pimavanserina ha ridotto il punteggio SAPS-HD a 12 settimane in media del 75%. I sintomi hanno iniziato a declinare nella prima settimana di trattamento, con un miglioramento continuo per tutto il periodo di trattamento.

Alla quarta settimana, il 30% aveva raggiunto l’obiettivo di risposta. Questo numero è aumentato costantemente, con il 51% che ha risposto entro la settimana 4, il 75% entro la settimana 8 e l’88% entro la settimana 12. Secondo una diagnosi di probabilità, i tassi di risposta sono stati del 59,8% nei pazienti con Alzheimer, del 45,5% per quelli con demenza da corpi di Lewy, del 71,2% tra i pazienti con PD, del 71% nei pazienti con demenza vascolare e del 50% nei pazienti con demenza frontotemporale.

In ultima analisi, l’80% dei pazienti nel complesso era considerato responder. La porzione randomizzata del trial è iniziata subito dopo, senza alcun periodo di washout. Circa il 62% (194) dell’intera coorte – tutti i responder – è entrato nella fase controllata con placebo. I restanti pazienti non erano responsivi (20%), abbandonavano a causa di un evento avverso (7,7%) o lasciavano lo studio per motivi non specificati (10%). C’è stato un decesso, non correlato al farmaco in studio.

Un totale di 41 pazienti era ancora in trattamento quando lo studio è stato sospeso e sono stati esclusi dall’analisi finale. Alla fine dello studio randomizzato, si sono verificate recidive nel 28,3% di quelli che assumevano placebo e nel 12,6% di quelli che assumevano pimavanserina, una differenza statisticamente significativa (hazard ratio, 0,353). Ciò si è tradotto in una riduzione del 180% della recidiva.

Il profilo degli eventi avversi
Il tasso di eventi avversi è stato simile sia nei gruppi attivi che in quelli placebo (41% vs. 36,6%). Eventi avversi gravi si sono verificati rispettivamente nel 4,8% e 3,6% dei gruppi. Gli eventi avversi più comunemente riportati sono stati mal di testa (9,5% vs 4,5%) e infezione del tratto urinario (6,7% vs. 3,6%). L’astenia si è verificata nel 2,9% dei pazienti trattati e nello 0,9% dei pazienti trattati con placebo, ma non sono state segnalate cadute. Sono state riportate anche ansia e vertigini in tre pazienti che assumevano il farmaco in studio.

Tre pazienti (2,9%) hanno manifestato una fase QT prolungata sull’ECG, con un ritardo medio di 5,4 millisecondi dal basale. «È noto che la pimavanserina ha questo effetto di prolungamento dell’intervallo QT» ha affermato Foff.  «Questo cambiamento di 5,4 ms è esattamente in linea con ciò che già sappiamo sulla pimavanserina e non è clinicamente significativo. Non abbiamo riscontrato alcun effetto sulla funzione motoria, in linea con il meccanismo d’azione e livelli molto bassi di agitazione o aggressività».

La pimavanserina non ha modificato significativamente la cognizione rispetto al basale nel periodo in aperto e nel periodo randomizzato e l’MMSE non ha mai differito in modo significativo tra i gruppi. È stata anche condotto un’analisi esplorativa dei sottogruppi che ha esaminato la ricaduta nel gruppo placebo rispetto al gruppo pimavanserina mediante una diagnosi clinica di probabilità.

Tra i tipi di demenza, i tassi di recidiva per il placebo rispetto alla pimavanserina sono stati del 23% contro il 13% tra i pazienti di Alzheimer, del 67% contro lo 0% nei pazienti con demenza da corpi di Lewy, del 50% contro il 7% nei pazienti con Parkinson e del 17% vs 17% tra i pazienti con demenza vascolare. Solo un paziente nel periodo randomizzato aveva una demenza frontotemporale e ha avuto una ricaduta durante il trattamento.

Incerto solo un effetto specifico nei pazienti con Alzheimer
Resta tuttavia da stabilire se la pimavanserina sia efficace in modo specifico per la psicosi nei pazienti con malattia di Alzheimer. Nel 2018, Acadia ha pubblicato uno studio negativo di fase 2 in un gruppo mirato di 181 pazienti di Alzheimer. L’outcome primario in ogni studio è stato il cambiamento medio nel “Neuropsychiatric Inventory–Nursing Home Version psychosis score” (NPI-NH-PS). Clive Ballard, dell’Università di Exeter (Inghilterra), era il ricercatore principale.

Dopo 6 settimane, i pazienti che assumevano pimavanserina hanno avuto una variazione di 3,76 punti nell’NPI-NH-PS, rispetto a una variazione di 1,93 punti nel gruppo placebo. La differenza media di 1,84 punti non era statisticamente significativa. Inoltre, questo gruppo di sole coorti di Alzheimer ha registrato più eventi avversi rispetto alla coorte di diagnosi mista HARMONY, sebbene le differenze tra i gruppi di pimavanserina e placebo non fossero significative.

Gli eventi avversi includevano cadute (23% in ciascun gruppo) e agitazione (21% con pimavanserina contro 14% con placebo). La cognizione non è stata influenzata.
Più tardi, quell’anno, è stata pubblicata un’analisi per sottogruppi della stessa coorte analizzando la risposta per gravità dei sintomi, sempre con Ballard come investigatore principale. L’analisi si è concentrata su 57 pazienti con uno NPI-NH-PS al basale di almeno 12, indicando gravi sintomi di psicosi.

Gli effetti del trattamento sono stati più pronunciati in questo gruppo, favorendo significativamente la pimavanserina. Al NPI-NH-PS, l’88,9% del gruppo pimavanserina e il 43,3% del gruppo placebo hanno avuto un miglioramento di almeno il 30%. Il 77,8% e il 43,3% hanno registrato rispettivamente un miglioramento di almeno il 50%. Il tasso di eventi avversi gravi è stato simile (18% con pimavanserina e 17% con placebo) e la cognizione non è stata influenzata. Le cadute si sono verificate nel 14% del gruppo trattato e nel 20% del gruppo placebo.

«Questi risultati associati ai risultati di altri studi sulla pimavanserina suggeriscono un potenziale ruolo della pimavanserina nel trattamento della psicosi nei pazienti in una vasta gamma di condizioni neuropsichiatriche» ha scritto Ballard.

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