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Artrite reumatoide: trattamento precoce aiuta la terapia

Un anno di trattamento con abatacept ha impedito che l'artrite reumatoide passasse dallo stadio "preclinico" allo stadio "clinico" nella maggior parte dei pazienti

Solo l’artrite e l’artrosi interessano il 16% della popolazione italiana

Artrite reumatoide, il trattamento precoce è il fattore predittivo più importante per il successo della terapia anche nei pazienti sieronegativi

Un ritardo nell’inizio della terapia con DMARDcs influenza l’outcome di artrite reumatoide sieronegativa più di altre caratteristiche cliniche, biologiche o di imaging, stando ai risultati di uno studio di recente pubblicazione su Arthritis Research & Therapy.

Tale risultato suffraga il paradigma attuale di trattamento dell’AR (trattamento precoce, controllo stretto dell’attività di malattia, adozione della strategia terapeutica treat-to-target) indipendentemente dalla sierologia associata alla malattia (presenza di fattore reumatoide e anticorpi anti-citrullina).

Razionale e disegno dello studio
Sia il fattore reumatoide (RF) che gli autoanticorpi ACPA sono notoriamente importanti tanto per la diagnosi quanto per la prognosi di AR, ricordano i ricercatori nell’introduzione al lavoro.

L’AR sieropositiva, soprattutto agli ACPA, si associa, per esempio, ad una maggior probabilità di sviluppo di erosione e ad un’ulteriore progressione radiografica di malattia.
L’AR sieronegativa, invece, è stata generalmente considerata come un’entità distinta, caratterizzata da un decorso di malattia meno severo e da outcome più favorevoli. Questa forma sierologica di AR, tuttavia, è più difficile da diagnosticare (e, quindi, da “prendere in tempo” nella giusta considerazione), tanto è vero che il trattamento di prima linea previsto, a base di MTX, è spesso iniziato tardi, nonostante le raccomandazioni delle linee guida al riguardo.

Fino ad ora, inoltre, non esistevano documentazioni concordanti in merito all’influenza della sierologia anticorpale (RF e ACPA) sugli outcome della terapia.

Su questi presupposti è stato implementato il nuovo studio, che ha preso in considerazione gli outcome di malattia ad un anno relativi a 172 pazienti sieronegativi appartenenti alla coorte osservazionale ESPOIR, al fine di identificare i fattori associati con risposte “buone” o “moderate” EULAR vs. l’assenza di risposta. (Ndr: come è noto i fattori di risposta EULAR sono il riflesso della variazione nel tempo dell’attività di malattia, misurata dal punteggio DAS28).

I pazienti, in prevalenza di sesso femminile (80% sul totale), avevano un’età media di 50 anni e una conta media di articolazioni dolenti e tumefatte pari, rispettivamente, a 11,7 e a 9. La maggior parte del campione di pazienti si caratterizzava per un’attività di malattia elevata, con un punteggio medio DAS28 pari a 5,5.

Ad un anno dalla diagnosi di malattia, il 57% dei pazienti era stato sottoposto a trattamento con MTX, il 21,5% a idroclorochina, il 12,8% a sulfasalazina e il 7% a leflunomide. Solo una minoranza del campione di pazienti era stato sottoposto ad opzioni terapeutiche alternative, farmaci biologici compresi.

Risultati principali
Dopo un anno di follow-up, il 66% dei pazienti della coorte considerati mostrava una risposta EULAR al trattamento “buona” o “moderata”.
I risultati dell’analisi univariate hanno mostrato che tali risposte erano associate ad un conta basale di articolazioni tumefatte pari almeno a 7, all’inizio del trattamento con DMARDcs entro 3 mesi dall’insorgenza di sinovite, ai livelli di VES e di CRP, nonché ad un punteggio di disabilità HAQ-DI  ≥1.

L’analisi multivariata ha identificato, invece, nell’inizio precoce di trattamento l’unico dei fattori predittivi di outcome favorevole che hanno mantenuto la significatività statistica.
I ricercatori hanno identificato, inoltre, in un punteggio HAQ-DI >1 al basale (OR=6,59; IC95%=3,29-13,2, p<0,001) e nello status di fumatore attivo (OR=2,59;  IC95%=1-6,69, p=0,05) i predittori di disabilità funzionale e, invece, nell’appartenenza al sesso femminile (OR=0,28; IC95%=0,10-0,79, p=0,02), e nei valori basali di VES >15 (OR=0,45; IC95%=0,20-0,98, p=0,05) i fattori protettivi.

Passando alla progressione strutturale di malattia, è stato osservato che il 10% dei pazienti mostrava un innalzamento di almeno un punto del punteggio totale Sharp, mentre il 6% ha mostrato una progressione ≥5 punti.

Dall’analisi multivariata è emerso che la presenza al basale di erosioni era associata ad una maggiore probabilità di progressione radiografica di malattia di almeno un punto, mentre il rischio era più basso nei pazienti con ≥10 articolazioni dolenti iniziali.

Il solo fattore che è risultato associato alla progressione di almeno 5 punti del punteggio Sharp è risultato essere la presenza di erosioni iniziali (OR=5,42; IC95%= 1,14-25,7, p=0,03).

Il rischio di progressione strutturale più forte, osservato nei pazienti che già mostravano erosioni visibili alla radiografia delle mani e dei piedi conferma che, a fronte di una migliore prognosi complessiva attesa nei pazienti con AR sieronegativa vs. quelli con AR sieropositiva (soprattutto quelli ACPA positivi), è fondamentale effettuare un esame scrupoloso e completo di tutti i pazienti, prima di determinare quale sia la gestione terapeutica più appropriata e ottimale da adottare.

In conclusione, lo studio ha confermato che l’AR sieronegativa non differisce in modo particolare dall’AR in toto, sia in termini di risposta terapeutica che di prognosi strutturale e che, soprattutto, non bisogna applicare in maniera differente i criteri di gestione terapeutica già validati nei pazienti con AR sieropositiva.

Lo studio ha confermato il vantaggio di una gestione terapeutica tempestiva anche nell’AR sieronegativa a base di DMARDcs, da implementare idealmente non oltre i primi 3 mesi dall’insorgenza della sintomatologia.

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