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Scoperto alone di gas attorno ai primi quasar

Un gruppo internazionale di astronomi ha studiato 30 quasar molto antichi rilevando, per la prima volta, l’effettiva presenza di grandi quantità di gas nelle loro vicinanze

This image shows one of the gas halos newly observed with the MUSE instrument on ESO’s Very Large Telescope superimposed to an older image of a galaxy merger obtained with ALMA. The large-scale halo of hydrogen gas is shown in blue, while the ALMA data is shown in orange.  The halo is bound to the galaxy, which contains a quasar at its centre. The faint, glowing hydrogen gas in the halo provides the perfect food source for the supermassive black hole at the centre of the quasar.  The objects in this image are located at redshift 6.2, meaning they are being seen as they were 12.8 billion years ago. While quasars are bright, the gas reservoirs around them are much harder to observe. But MUSE could detect the faint glow of the hydrogen gas in the halos, allowing astronomers to finally reveal the food stashes that power supermassive black holes in the early Universe.

Un gruppo internazionale di astronomi ha studiato 30 quasar molto antichi rilevando, per la prima volta, l’effettiva presenza di grandi quantità di gas nelle loro vicinanze

Un obiettivo primario dell’astrofisica osservativa è quello di spingersi nell’universo primordiale e studiare come si sono formate le prime stelle, galassie e buchi neri.

Grazie alla sensibilità dello spettrografo a campo integrale Muse, in dotazione al Very Large Telescope dell’Eso, in Cile, un team internazionale di astronomi guidati da Emanuele Paolo Farina e di cui fanno parte Roberto Decarli e Lorenzo Busoni dell’Istituto nazionale di astrofisica (Inaf), ha osservato per più di  50 ore un campione di quasar agli albori dell’universo e scoperto che circa il 40 per cento del di essi sono circondati da imponenti aloni di gas, che si estendono anche per centomila anni luce.

Questi aloni sono la diretta evidenza della presenza di grandi quantità di idrogeno nelle immediate vicinanze dei primi quasar. In particolare, i ricercatori hanno scoperto che questo gas è abbastanza abbondante da mantenere sia la grande voracità di materia dei buchi neri super massicci al centro delle galassie, sia l’elevata attività di formazione stellare registrata nelle stesse galassie.

«Per decenni, gli astronomi hanno sfruttato la luminosità dei quasar, tra le sorgenti non transienti più luminose in cielo, per studiare la formazione e l’evoluzione di galassie e buchi neri in tutti i tempi cosmici», dice Farina. «Quello che ancora non comprendiamo è il processo dettagliato con cui buchi neri con masse un miliardo di volte quelle del Sole possono formarsi in meno di un miliardo di anni dopo il Big Bang, una piccola frazione dell’attuale età dell’universo, che stimiamo essere 13,7 miliardi di anni».

Le attuali teorie indicano che per far crescere sistemi così massicci in un tempo così breve, le galassie dove risiedono i primi quasar necessitino di un continuo e consistente rifornimento di materia. Moderne simulazioni mostrano come questo approvvigionamento possa avvenire attraverso una fitta rete di filamenti (chiamata “cosmic web”, la ragnatela cosmica) in grado di trasportare il gas dallo spazio intergalattico fino alle galassie. In alternativa, il materiale fagocitato dai buchi neri super massicci potrebbe venire dalla fusione con altre galassie ricche di gas. Ma mentre una fusione è un breve episodio violento, i filamenti del mezzo interstellare dovrebbero essere presenti intorno ad ogni quasar.

L’emissione prodotta dai filamenti gassosi è però talmente debole che una loro diretta osservazione è praticamente quasi impossibile. Tuttavia, queste strutture possono essere illuminate dall’intensa radiazione proveniente da un quasar. In questo caso, l’idrogeno nel gas assorbe e riemette radiazione, brillando come una “nuvola’’, un alone di radiazione ultravioletta la cui “impronta digitale” nello spettro elettromagnetico è associabile alla cosiddetta riga Lyman-Alfa. Questa caratteristica comunque rimane estremamente sfuggente, e solo l’ultima generazione di strumenti sui più grandi telescopi del mondo ha permesso la loro scoperta.

«La presenza di queste nebulose estese costituisce un importante pezzo del puzzle che gli astronomi stanno componendo. Queste nuove osservazioni ci permetteranno di testare le teorie e i modelli disponibili sulla crescita delle prime galassie massive e dei buchi neri all’alba del tempo cosmico», commenta Decarli.

Queste nuove osservazioni, fornendo informazioni dettagliate sui “serbatoi” di materia attorno ai quasar, possono essere utilizzate per testare le attuali teorie e modelli per la crescita di galassie e buchi neri massicci dal Big Bang fino ad oggi. Osservazioni aggiuntive sono già pianificate per rilevare completamente lo stato fisico del gas. Le informazioni attuali suggeriscono che esso si trova addensato in piccole “gocce’’ di gas, come una nebbia cosmica, troppo piccole per essere individuate o anche solo modellate dalle attuali simulazioni cosmologiche, una vera e propria sfida per le prossime generazioni dei modelli teorici che tenteranno di descrivere la formazione e l’evoluzione del nostro universo.

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