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Scompenso cardiaco, dapagliflozin efficace a tutte le età

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Scompenso cardiaco, benefici da dapagliflozin in tutte le classi di età, anche in pazienti senza diabete, secondo lo studio DAPA-HF

Dapagliflozin, originariamente sviluppato per il trattamento del diabete di tipo 2 (DMT2), ha un ampio e positivo impatto su vari sottogruppi di pazienti con insufficienza cardiaca (HF) cronica e ridotta frazione di eiezione (HFrEF), compresi quelli senza diabete, secondo i nuovi dati provenienti dallo studio DAPA-HF, riportati a Philadelphia, nel corso delle sessioni scientifiche 2019 dell’American Heart Association (AHA 2019).

I principali risultati della sperimentazione, riportati a Parigi durante il Congresso della European Society of Cardiology (ESC), avevano mostrato che, nei pazienti HFrEF con e senza DMT2, dapagliflozin somministrato in aggiunta alle terapie standard per l’HF aveva migliorato gli esiti clinici e i sintomi rispetto al placebo. Un’analisi per sottogruppi aveva inoltre indicato che i benefici erano coerenti, indipendentemente dallo stato del diabete.

Ora, all’AHA 2019, tre nuove presentazioni hanno approfondito i risultati nei pazienti non diabetici e attraverso le fasce di età e lo stato di salute al basale. Dapagliflozin, inibitore del co-trasportatore 2 sodio/glucosio (SGLT2i), è risultato ben tollerato e ha avuto effetti coerenti e clinicamente significativi in tutti i gruppi studiati.

Effetti coerenti rilevati in tre analisi dello studio DAPA-HF
Lo studio DAPA-HF è stato condotto in 20 paesi mediante randomizzazione di 4.744 pazienti con HF di classe NYHA II o superiore, frazione d’eiezione ventricolare sinistra (LVEF) del 40% o inferiore e valori di pro-peptide natriuretico di tipo B (NT-proBNP) di 600 pg/mL o superiore.

Lungo un follow-up mediano di 18 mesi, l’aggiunta di dapagliflozin 10 mg alle terapie standard ha ridotto il rischio di esito composito primario di primo episodio di peggioramento dell’HF o morte  cardiovascolare (CV) (16,3% vs 21,2%; HR 0,74; 95% CI 0,65-0,85).

John McMurray, dell’Università di Glasgow (Scozia), ha presentato all’AHA 2019 la prima analisi DAPA-HF, focalizzandosi sui pazienti senza diabete, che costituivano il 55% della popolazione in studio.L’effetto del trattamento è stato coerente in diversi esiti clinici, tra cui l’endpoint primario, morte per tutte le cause, morte CV, un primo episodio di  peggioramento di HF, morte CV/ospedalizzazione per HF e morte CV/ospedalizzazioni totali, indipendentemente dallo stato del diabete (P per interazione = NS per tutti).

I benefici dell’inibitore SGLT2 in termini di endpoint primario e sola morte CV erano coerenti nei livelli basali di emoglobina glicata nei pazienti senza diabete. Inoltre, la probabilità di avere un miglioramento clinicamente significativo dello stato di salute – almeno una variazione di 5 punti sul punteggio totale dei sintomi del Kansas City Cardiomyopathy Questionnaire (KCCQ) – era maggiore nel braccio dapagliflozin sia nei diabetici che nei non diabetici.

Lo stato del diabete non ha modificato il fatto che dapagliflozin non ha avuto un impatto significativo sulla funzionalità renale e non ha aumentato gli eventi avversi. «Riteniamo che questa sia davvero una prova piuttosto forte del fatto che dapagliflozin, originariamente introdotto come farmaco per il diabete, è chiaramente un farmaco benefico per l’HF, compresi i pazienti con HF che non hanno DMT2» ha detto McMurray.

Il tema dei risultati uniformi nei sottogruppi di pazienti era lo stesso valutato in due ulteriori analisi, una presentata da Mikhail Kosiborod, del Saint Luke’s Mid America Heart Institute di Kansas City, che esaminava i sintomi, la funzione e la qualità di vita (QoL), e una esposta da Felipe Martinez, dell’Universidad Nacional de Córdoba (Argentina), centrata sugli effetti in tutte le fasce di età.

I risultati dello studio non sono risultati significativamente differenti tra terzili di punteggio totale dei sintomi KCCQ al basale. Inoltre, nel braccio dapagliflozin si è verificato un miglioramento superiore di sintomi, stato funzionale e QoL, con una probabilità maggiore che i pazienti che ricevevano l’inibitore SGLT2 ottenessero guadagni clinicamente significativi nel punteggio KCCQ.

«Gli effetti sono stati sostanziali, con numeri da trattare (numbers-needed-to-treat) che erano compresi tra 12 e 18 anche in questo trial in doppio cieco rigorosamente controllato» ha detto Kosiborod. Riguardo l’analisi dell’età, che era post hoc, i pazienti più anziani dal trattamento con dapagliflozin hanno guadagnato almeno altrettanto, se non di più, rispetto ai loro coetanei più giovani, con una tollerabilità simile.

«Poiché i pazienti più anziani hanno un rischio assoluto molto più elevato, una simile riduzione del rischio relativo si traduce in un beneficio assoluto ancora più grande nei pazienti più anziani, ai quali, come purtroppo sappiamo, vengono spesso negate terapie efficaci» ha osservato McMurray.

Una possibile nuova terapia di base per l’HFrEF?
«Ci sono molte domande rimaste aperte dopo DAPA-HF, incluso se gli effetti sono specifici per dapagliflozin o per la classe di inibitori SGLT2; qual è l’effetto del farmaco quando usato in combinazione con sacubitril/valsartan; se dapagliflozin sarà un’opzione per i pazienti con HF ricoverati in ospedale o che hanno conservato la frazione di eiezione; e, soprattutto, quali sono le sfide per l’implementazione» ha affermato Carolyn Lam, del National Heart Centre di Singapore, che ha moderato la discussione dopo le presentazioni sull’età e sullo stato di salute.

«Dapagliflozin ora soddisfa tutti e tre gli obiettivi della gestione dell’HF: i pazienti muoiono meno, vengono ricoverati in misura minore in ospedale e si sentono meglio, e questo indipendentemente dall’età o dallo stato del diabete» ha detto Lam. «Se questi dati saranno confermati con altri inibitori SGLT2 in studi sull’HF, ciò suggerisce davvero che l’inibizione SGLT2 potrebbe essere il prossimo pilastro fondamentale del trattamento dell’HFrEF».

Larry Allen, dell’University of Colorado Hospital di Aurora, che ha svolto il ruolo di moderatore a seguito dell’analisi sui pazienti non diabetici, ha affermato che una grande domanda d’ora in avanti sarà come gestire l’uso di più farmaci efficaci nella popolazione con HFrEF.

Sia sacubitril/valsartan che dapagliflozin hanno dimostrato di portare benefici in questa condizione, ha osservato, e ci si potrebbe chiedere non tanto quale farmaco si dovrebbe usare ma perché non usare di più entrambi questi farmaci. Secondo Allen, però, bisognerebbe riflettere bene sull’uso in sequenza e sull’add-on di questi vari agenti.

Douglas Mann, della Washington University School of Medicine di St. Louis, portavoce dell’American College of Cardiology non coinvolto nello studio DAPA-HF, ha sottolineato che, sulla base delle attuali linee guida, i medici dovrebbero iniziare un trattamento per i loro pazienti con HFrEF con sacubitril/valsartan.

Peraltro, ha osservato, un’analisi di DAPA-HF ha mostrato che gli effetti di dapagliflozin erano simili sia nei pazienti che assumevano o non assumevano l’inibitore del recettore dell’angiotensina-neprilisina (ARNI). «Ciò solleva la domanda se dapagliflozin sarà usato al posto o in aggiunta di sacubitril/valsartan» ha detto Mann.

«Non ci sono molti dati per informare tali decisioni in questo momento» ha precisato.  Comunque, «la buona notizia è che ci sarà un farmaco facile da somministrare, con pochissimi effetti collaterali» ha concluso Mann.

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