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Sindrome di Marfan: l’aorta rischia di più

Sindrome di Marfan: tutta colpa di un gene sul cromosoma 15. I rischi maggiori in ambito cardiologico: il pericolo più grande interessa l’aorta

Sindrome di Marfan: tutta colpa di un gene sul cromosoma 15. I rischi maggiori in ambito cardiologico: il pericolo più grande interessa l’aorta

L’incidenza della sindrome di Marfan è di un soggetto affetto su 5.000-10.000 nati vivi e dal punto di vista genetico si caratterizza come una mutazione a trasmissione autosomica dominante: il che significa che il malato ha quasi sempre un genitore affetto ed egli stesso ha il 50%di probabilità, ad ogni gravidanza, di avere figli con la sindrome.

Tutto per colpa di un gene che si trova sul cromosoma 15 e che regola la produzione di una sostanza, la fibrillina, essenziale componente del tessuto connettivo.

Questo “materiale biologico” compone le articolazioni e i legamenti, ma è presente un po’ in tutto il nostro corpo come collante, cuscinetto o struttura di sostegno dei vari organi, la fibrillina ne è un mattone fondamentale e la sua destrutturazione causa un mosaico di sintomi che può interessare più apparati.

Tipica della sindrome è una lassità dei legamenti tale da consentire movimenti delle articolazioni fuori dal comune, come quelli di un contorsionista. La flessibilità si estende anche ai piedi che spesso sono piatti. Il malato, inoltre, è generalmente alto e magro con braccia, gambe e dita, spesso, sproporzionatamente lunghe rispetto al tronco.

Anche le ossa possono essere coinvolte: frequente è la scoliosi che se non trattata può portare allo sviluppo di insufficienza respiratoria aggravata da patologie della gabbia toracica, spesso presenti in questi pazienti.

Gli occhi, anche quelli possono essere colpiti dalla sindrome, il connettivo, infatti, è responsabile dell’ancoraggio delle strutture deputate alla vista, la loro dislocazione può portare a strabismo, miopia, restringimento della pupilla e lussazione del cristallino.

Ma dove la Sindrome di Marfan “dà il peggio di sé” è l’ambito cardiologico come spiegano gli esperti dell’Ospedale Niguarda. Cuore e dintorni, qui il connettivo lasso gioca dei brutti scherzi, anomalie strutturali e funzionali che possono addirittura portare alla morte, se non diagnosticate per tempo.

Il rischio più grande interessa l’aorta. In questi soggetti  la parete debole del vaso, dovuta al connettivo non ben strutturato, espone ad un maggiore rischio di aneurisma (dilatazione del vaso) e disseccazione (sfaldamento progressivo degli strati che formano la parete), complicazioni che possono portare alla rottura dell’aorta con un’alta probabilità di morte. In molti casi si sottopone il paziente ad una terapia con farmaci beta-bloccanti per abbassare la pressione e limitare l’onda d’urto del flusso sanguigno sulla parete dell’arteria.

Si tratta di un trattamento conservativo per rallentare la dilatazione, ma quando il diametro del vaso supera il valore limite di 4,7-5 cm l’unica alternativa è la sostituzione del tratto in pericolo con una protesi.

La parete dilatata e debole può portare, inoltre, ad un’ insufficienza della valvola aortica, la struttura attraverso cui il sangue esce dal ventricolo ed entra nell’aorta. La porta non chiude più del tutto  perché gli stipiti su cui è montata, la parete del vaso, si sono dilatati. In questi casi la via chirurgica presenta due possibilità: sostituzione della valvola, con una di tipo biologico o meccanico, o un intervento di plastica per ricostruire e dare continenza alla valvola. La linea adottata qui nel nostro centro è quella di cercare di preservare il più possibile la valvola del paziente, lasciando ai casi più gravi la sostituzione.

La lassità del connettivo può talora coinvolgere anche le “corde tendinee” della valvola mitralica, provocando un’insufficienza anche a questo livello; per correggere l’anomalia, l’unica alternativa è l’intervento cardiochirurgico, anche in questo caso, se possibile, conservativo della valvola nativa; tuttavia nei casi più gravi l’unica alternativa è la sostituzione con una valvola meccanica, soluzione permanente ma che necessita di una terapia anticoagulante a vita, o con la variante biologica, che richiede una sostituzione, mediamente una, ogni 10 anni.

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