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Noduli alla tiroide: oggi scoprirli è più semplice

Tiroide, studio UCBM con l'Ospedale Santa Maria Goretti di Latina: le tecniche di termoablazione come il laser e la radiofrequenza per i noduli

Noduli alla tiroide: sempre più casi negli ultimi venti anni ma oggi è più facile scoprirli. Ecco le ultime tecniche diagnostiche

E’ un argomento su cui c’è molta attenzione: le persone che scoprono di avere dei noduli alla tiroide sono sempre di più e i casi si sono moltiplicati quasi esponenzialmente negli ultimi vent’anni. Ma questa è prevalentemente una diretta conseguenza del miglioramento delle tecniche diagnostiche (su tutte l’ecografia) che consentono di intercettare, con un esame di facile esecuzione, questa condizione nonostante la sua silenziosità. Più casi, non significa direttamente più pericolo: infatti solo una ridotta percentuale evolve verso un rischio oncologico. Ma una volta identificato un nodulo, cosa bisogna fare? A rispondere è lo specialista della chirurgia della tiroide dell’Ospedale Niguarda.

Ci sono più casi perché si scopre questa condizione con più facilità rispetto al passato?

Sì, esatto. L’utilizzo di un esame efficace, per nulla invasivo e di semplice esecuzione, come l’ecografia ha facilitato la diagnosi per i noduli della tiroide. Si tratta di una condizione che interessa sempre più persone, ma solo nel 5% dei casi  viene riscontrato  un  tumore. Una volta identificato il nodulo, il medico attiva il percorso giusto di cura o con la sorveglianza o con le altre misure necessarie per un approfondimento.

Quali sono gli aspetti che fanno propendere per un’opzione oppure per l’altra?

Ci sono delle caratteristiche ecografiche del nodulo che si associano a profili di maggior rischio. Tra questi ci sono l’ipoecogenicità, ovvero una specifica risposta agli ultrasuoni della sonda ecografica, l’irregolarità dei margini, le dimensioni, la vascolarizzazione all’interno della lesione e la presenza di microcalcificazioni. Questi sono i principali aspetti che si tengono in considerazione per valutare l’opportunità di ulteriori approfondimenti.

Quali sono gli esami che consentono di studiare meglio queste lesioni?

Ci sono gli esami del sangue per i dosaggi degli ormoni tiroidei, che sono degli indicatori necessari per capire come funziona la ghiandola, se ci si trova in una condizione di normale funzione tiroidea, di ipertiroidismo o di ipotiroidismo. E poi c’è l’esame citologico- l’agoaspirato- che mediante lo studio di cellule aspirate all’interno del nodulo consente di definire la natura della lesione. L’esito può indicare una condizione di benignità, di malignità oppure di incertezza (la categoria TIR3, nella classificazione che va da TIR1 a TIR5, in cui il rischio è crescente). In questi casi dubbi spesso si ricorre comunque all’intervento chirurgico per avere un quadro definitivo sulla natura del nodulo.

Spesso sentiamo parlare di noduli freddi o caldi. Di cosa si tratta?

Questa distinzione fa riferimento alla differente risposta che un nodulo può avere se sottoposto alla scintigrafia. Si tratta di un esame che rispetto al passato ha visto ridursi l’utilizzo su larga scala in favore di indicazioni più mirate. In pratica oggi si utilizza solo in quei casi in cui si è evidenziato un quadro di ipertiroidismo, per capire se questa condizione è dovuta al nodulo in studio. Per farlo si somministra un particolare tracciante che consente di identificare il nodulo come iperfunzionante, vale a dire “caldo”, o come non funzionante, ovvero “freddo”. Se vogliamo dare un’indicazione di massima, i noduli caldi, con rarissime eccezioni, sono sempre benigni. I noduli maligni sono in genere “non funzionanti”, ma costituiscono solo una piccola percentuale dei noduli “freddi”.

Dopo aver completato gli approfondimenti, quando basta solo la sorveglianza?

Se l’esito dell’agoaspirato delinea caratteristiche citologiche di benignità e le dimensioni del nodulo- in genere sotto i 3 centimetri- sono tali da non determinare problemi compressivi, come senso di costrizione, difficoltà respiratorie o alla deglutizione, allora per il paziente è sufficiente un monitoraggio a cadenze prestabilite.

Se il nodulo è iperfunzionante, come si interviene?

Ci sono tutta una serie di possibilità che vanno scelte a seconda del caso. Tra queste rientrano le terapie mediche con i farmaci che possono essere un trattamento temporaneo per controllare l’ipertiroidismo in modo che la situazione si assesti e si possa poi intervenire con le soluzioni definitive, come la chirurgia o tutte le altre metodiche che hanno l’obiettivo di andare a distruggere il nodulo, tra cui la termoablazione, l’alcolizzazione o il trattamento con il radio-iodio.

La chirurgia, come si realizza?

In anestesia generale e con un’incisione a livello del collo per andare ad asportare il nodulo. Rispetto al passato è cresciuta l’attenzione anche per quello che è il risultato estetico: oggi, infatti, si riesce ad intervenire grazie ad accessi di dimensioni più piccole. In alcuni casi, in particolare per i noduli al di sotto dei 3 centimetri, si può scegliere un approccio mini-invasivo ricorrendo alla chirurgia videoassistita.

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