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Il MOSE di Venezia: ecco cos’è e a cosa serve

Il MOSE di Venezia: cos’è e a cosa serve il Modulo Sperimentale Elettromagnetico, ancora incompiuto, che può salvare la città dalla marea

Il MOSE di Venezia: cos’è e a cosa serve il Modulo Sperimentale Elettromagnetico, ancora incompiuto, che può salvare la città dalla marea

A seguito delle eccezionali alte maree di martedì 12 novembre, Venezia è stata in parte sommersa dall’acqua del mare. C’è stata una vittima a Pellestrina, in prossimità della città lagunare, case e musei senza luce e il sindaco Luigi Brugnaro assieme al presidente della Regione Veneto Luca Zaia chiedono lo stato di calamità. Danni milionari per una delle città simbolo d’Italia. Ogni qualvolta la città viene sommersa dall’alta marea, torna alla ribalta il tema riguardante il ‘MOSE’, il progetto non ancora ultimato, iniziato nel 2003, che dovrebbe effettivamente aiutare in situazioni simili.

A causa della concomitanza di fattori ambientali come l’alta marea e il forte vento di scirocco, che non permette ai fiumi di scaricare regolarmente in mare le loro acque, la città della Serenissima finisce irrimediabilmente sott’acqua, con enormi danni ai tesori d’arte e architettonici di valore inestimabile. Oramai monumenti come la Basilica di San Marco, risultano gravemente e irreparabilmente rovinati . Per questo motivo, per ovviare al problema e preservare Venezia, patrimonio dell’umanità, già nel 1975 nasce l’idea di copiare dal sistema di dighe in uso da secoli nei Paesi Bassi, da sempre impegnati a difendersi dalla copertura delle acque del mare. Si è pensato di chiudere le 3 bocche della laguna di Venezia con sbarramenti rimovibili,  che possano sollevarsi in caso di un eccessivo innalzamento del livello del mare: il Mose.

La storia

Il MOSE, Modulo Sperimentale Elettromagnetico, evidente riferimento alle gesta bibliche di Mosè nel Mar Rosso che divise le acque per permettere il passaggio al popolo ebraico in fuga dall’Egitto, nasce con il nome di ‘Progettone’ l’11 giugno 1980 quando l’allora ministro dei Lavori Pubblici, Franco Nicolazzi, conferisce l’incarico ad un team di esperti per uno studio di fattibilità e un progetto di massima che saranno consegnati l’anno successivo.

Nel 1983, il progetto viene ripresentato alla luce di numerose varianti effettuate per la salvaguardia dell’ambiente: da lì a poco sarà proposta l’istituzione di un parco della laguna. Bisogna arrivare al 14 maggio 2003 data dell’avvio ufficiale dei lavori al sistema MOSE con una cerimonia alla presenza del presidente del consiglio e delle massime autorità.  Viene inoltre istituito l’Ufficio di Piano per provvedere all’integrazione tra i vari progetti presentati, alla luce dei ricorsi di alcune associazioni ambientaliste, dal comune e dalla provincia di Venezia, che però vengono rigettati dal TAR nel 2004.

In tutti questi anni il progetto è stato bloccato più volte, non solo a causa delle difficoltà di realizzazione ma anche per le inchieste giudiziarie che nel 2014 hanno portato all’arresto di alcuni esponenti politici e funzionari.

Come funziona il Mose

Il sistema, ancora in fase di realizzazione, è formato da 78 paratie in metallo divise in quattro barriere mobili per chiudere 3 bocche di porto lagunari. Può fronteggiare un massimo di 3 metri di marea e bloccare l’acqua che, spinta dallo scirocco, allaga la città.

Dagli iniziali 2 miliardi di euro, previsti per la sua costruzione, il MOSE è costato finora 5,5 miliardi di euro e il suo completamento è previsto per la primavera del 2021. Ad oggi, il sistema non è mai entrato in azione salvo che per alcune prove di funzionamento. Nel 2019 erano previsti solo dei test di sollevamento ma anche questi non sono stati completati.

Le paratie mobili sono formate da dei cassoni metallici che si sollevano dal fondale, marino quando vengono svuotati dall’acqua che li riempie. Purtroppo, persistono ancora molte perplessità sull’efficacia dell’intera operazione con molte voci discordanti che continuano a ribadire l’inutilità di un’opera così costosa che non difenderebbe di fatto Venezia dall’acqua. Uno dei punti deboli sta ad esempio, nel dispendio di risorse umane per metterlo in funzione: in modalità manuale, per far funzionare il MOSE, servono quattro squadre formate da venti persone ciascuna, per ogni barriera: un’operazione non di facile svolgimento, specie con condizioni climatiche avverse.

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