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Cinzia Merletti in libreria con “Donne in cammino”

Cinzia Merletti, musicista e scrittrice, in libreria con “Donne in cammino… verso la pienezza dei diritti umani”. Ecco di cosa parla il volume

Cinzia Merletti, musicista e scrittrice, in libreria con “Donne in cammino… verso la pienezza dei diritti umani”. Ecco di cosa parla il volume

E’ stato presentato al Grand Hotel Duca d’Este di Tivoli Terme il libro di Cinzia Merletti, musicista e scrittrice, “Donne in cammino… verso la pienezza dei diritti umani”, organizzato dal Guidonia Big Bang, associazione che da circa 5 anni si occupa dell’hinterland di Guidonia Montecelio e Tivoli, con l’obiettivo di promuovere ed elaborare proposte e progetti finalizzati al rinnovamento culturale, sociale e politico del territorio. All’evento erano presenti l’autrice e curatrice del libro, il coautore Ispettore Superiore della Polizia di Stato Davide Sinibaldi, e la Delegata alla Legalità del Comune di Fiumicino e Presidente di Quote di Merito Arcangela Galluzzo. L’incontro è stato introdotto dalle proiezioni fotografiche di Maria Antonietta Pirri, giovane fotografa che ha utilizzato questa forma d’arte come strumento di sensibilizzazione sulla violenza di genere, attraverso un lavoro di analisi femminile e introspezione psicologica del proprio mondo interiore. L’esigenza di scrivere un libro su questi temi, ha spiegato l’autrice, nasce dalla consapevolezza che “nonostante conferenze mondiali Onu a favore delle donne al motto di uguaglianza, sviluppo e pace, e nonostante un loro protagonismo nella storia umana, molto c’è ancora da fare perché il rispetto dei diritti umani sia anche il rispetto dei diritti delle donne”.

“Donne in cammino… verso la pienezza dei diritti umani”, di cosa parla

Il libro di Cinzia Merletti si sviluppa essenzialmente in quattro parti. Nella prima parte l‘autrice, che è musicista e insegnante, offre una panoramica sul rapporto tra donna ed espressione artistica nella storia, concentrandosi soprattutto sulla donne nei paesi arabi, con un excursus sul suo ruolo nella società pre e post Maometto. A questo proposito, la scrittrice ha raccontato che la “donna è sempre stata bistrattata per paure ancestrali dell’uomo e considerata insieme al vino e alla musica una triade demoniaca perché inibiva processi razionali.

Per quanto riguarda il ruolo della donna nei paesi arabi, “il velo per esempio non è mai stato un simbolo religiosoma sociale, uno strumento per poter riconoscere le donne rispettabili e isolarle così da quelle considerate ‘discutibili’, e questo si ritrova già nel codice di Hammurabi. Di sicuro prima della nascita dell’Islam le donne erano considerate prive di dignità, addirittura non riconosciute come esseri umani, prive di qualsiasi diritto- ha spiegato Merletti- Quando Maometto però diventa referente della religione dell’Islam, cerca in tutti i modi di arrivare ad un loro riconoscimento, al pari degli uomini, ma così facendo urta un sistema ormai consolidato da secoli. A quell’epoca le donne non portavano più il velo, ma Maometto non trova altra soluzione che farle velare di nuovo come simbolo di rispettabilità. Questo le ha protette quindi ma ha lasciato alla mercè di uomini senza scrupoli quelle che non erano velate”. Nella seconda parte del libro la scrittrice porta esempi di emancipazione femminile in vari contesti come la musica, lo sport e la religione e analizza i modi in cui arrivarvi, attraverso l’istruzione, la formazione, e la produzione di un reddito economico. Segue una terza parte dedicata ad interviste a donne attive sulla questione, come Maria Grazia Panunzi di Aidos per esempio.

Nella quarta e ultima parte del libro infine, l’attenzione si sposta su un piano più pratico con l’intervento del coautore del libro, l’Ispettore superiore della Polizia di Stato Davide Sinibaldi, che coordina il pool antiviolenza di Tivoli. A proposito di violenza di genere, Sinibaldi, parlando del suo lavoro, spiega che “oggi si pone l’esigenza di far fronte ad una battaglia soprattutto culturale. Serve rimodulare l’aggettivo possessivo in bocca agli uomini, usato nel modo più sprezzante per definire una donna come oggetto e non come essere. Se ci pensiamo la donna viene già privata di qualcosa nel momento in cui nasce e prende il cognome del padre, di un uomo dunque, come se fosse cosa sua. Non si può fermare la violenza sulle donne in maniera solo repressiva. Arrestare una persona è solo un palliativo, restituisce respiro alla vittima, ma non si risolve un problema prettamente culturale. La scuola e le nuove generazioni, quindi sono il teatro più importante per trasmettere il messaggio che la donna non debba essere subordinata sempre all’uomo”. A questo proposito, anche Merletti considera “fondamentale la scuola contro la violenza di genere. Essa deve dare la chiave ai ragazzi per cercare il proprio percorso di vita. La formazione è importantissima ma rivolta solo verso donne è un fallimento; indispensabile è infatti formare anche gli uomini. Come insegnante ho notato che i bambini sono già stereotipati, assorbono in famiglia dei modelli fissi e poi li riproducono nella realtà”.

Sinibaldi spiega quindi il “ciclo della violenza”, che è “quasi sempre uguale, un circuito che si sviluppa nel tempo in modo graduale, partendo da violenze verbali o atteggiamenti svalorizzanti. Gli episodi violenti sono sempre seguiti da scuse da parte dell’aggressore, e si alterna così il momento violento alla ‘luna di miele’, periodo in cui il rapporto è apparentemente rinsaldato. La vittima si trova così a minimizzare e a nascondere all’esterno la verità, a razionalizzare e a giustificare l’altro, convincendosi che il cambiamento avverrà perché sarà lei stessa a migliorare. Il partner violento da parte sua sarà sempre imprevedibile nei suoi atti, e anche lui tenderà a trovare una giustificazione per quello che ha fatto, imputando sempre la colpa alla donna. Il ciclo diventa quindi ‘normalità’, tanto che la donna una volta entrata in questa spirale della violenza non avrà neanche più la percezione di esserne una vittima- ha spiegato l’Ispettore- Gli uomini violenti intanto non si rendono mai conto dei loro comportamenti, sono certi di essere nel giusto. Per questo il lavoro da fare è sì sulle donne, che creano delle dipendenze affettive distruttive, arrivando a pensare di poter vivere solo perchè l’uomo glielo permette, prive ormai di identità e anima, ma soprattutto sugli uomini, che a livello culturale devono abbandonare certi stereotipi. Nell’affrontare il problema solo con le forze dell’ordine abbiamo perso in partenza; la sinergia con altri attori (centri antiviolenza, asl, ps e scuole è quindi fondamentale. Non dimentichiamo poi il costo sociale abnorme della violenza sulle donne- ha concluso Sinibaldi- danni psicologici e fisici che diventano cronici per le vittime; e la cosa più drammatica è perpetrare sui figli questi valori in un ciclo senza fine. I bambini infatti diventano violenti a loro volta, e le bambine giustificano le violenze. Per esempio nel nostro lavoro, spesso abbiamo cercato e usato le pagelle con i giudizi del tempo di uomini violenti negli anni in cui andavano a scuola e sempre abbiamo potuto riscontrare problemi già da piccoli, che da adulti si sono poi palesati con un comportamento antisociale”.

Dello stesso avviso è Arcangela Galluzzo, dirigente Pari opportunità della Regione Lazio che con la sua associazione “Quote Merito”, nata nel 2012, organizza incontri anche nelle scuole “per offrire esempi positivi da seguire ed insegnare ai ragazzi che l’essere umano ha la potenza di creare la storia, che l’immodificabilità è terrificante, e che devono sapere creare le proprio competenze, perché merito e competenza sono gli unici strumenti per la legalità, mentre l’incompetenza è capace di fare più danni di uno tsunami. Noi adulti dobbiamo lavorare su questo- ha spiegato- fare scelte di merito in tutti gli ambiti della vita vuol dire impegnarsi per la collettività, ed è l’esempio che dobbiamo lasciare ai ragazzi, insegnare che non si va avanti solo perché si hanno amicizie”. Per Galluzzo, “la legalità- che deve essere al primo posto nell’agenda politica- si deve fare perché è giusta non perché utile, e in essa rientra il tema della violenza contro le donne. Sui temi della violenza di genere la regione Lazio è un modello in tutta Italia, perché ha una cabina di regia dedicata, e per prima ha istituito il contributo per gli orfani delle vittime di femminicidio, e quello di libertà per le donne che fuoriescono dal percorso di violenza, la programmazione è quindi a tutto campo e l’esempio virtuoso con azioni concrete”. Per quanto riguarda le differenze nel divario retributivo donna-uomo, per esempio, “è costantemente al lavoro e nell’evento sul gender pay gap di lunedì 11 novembre verrà presentata anche una proposta di legge; esiste anche un Comitato unico di garanzia della Regione Lazio, e una consigliera di fiducia che si occupa del benessere lavorativo in aziende e organismi dipendenti. Inoltre, negli enti e nella società della regione molta attenzione è data alla rappresentanza di genere. Le quote rosa sono rispettate- ha concluso Galluzzo- ma la strada è ancora lunga. Il problema è solo culturale: è davvero necessario privilegiare il rapporto umano, e imparare ad avere rispetto per l’identità umana”.

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