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“Da qui alla luna”, elegia per una montagna ferita

La recensione dello spettacolo “Da qui alla luna” con Andrea Pennacchi in scena al teatro Verdi di Padova fino al 10 novembre

Andrea Pennacchi in “Da qui alla luna” Foto Serena Pea

Fa più rumore un albero che cade di un’intera foresta che cresce. Chissà se Lao-Tse avrebbe esortato alla stessa imperturbabilità di fronte al rumore di sedici milioni di tronchi abbattuti dalla furia degli elementi. Perché questo è il risultato del passaggio della tempesta Vaia sulle Dolomiti del  Veneto. Circa un anno fa, alla fine di ottobre del 2018, una strage di sedici milioni di alberi e la devastazione di migliaia di ettari di foresta. Un episodio di cronaca che si trasforma in un’orazione di teatro civile in “Da qui alla luna”, spettacolo di parole e musica prodotto dal Teatro Stabile del Veneto. La voce recitante è quella di Andrea Pennacchi, attore di lungo corso per il cinema e il teatro, affiancato dal cantautore e chitarrista Giorgio Gobbo con il contrappunto di 35 elementi dell’Orchestra di Padova e del Veneto, un testo scritto da Matteo Righetto affidato alla regia di Giorgio Sangati.

“Da qui alla luna” il titolo, perché quella tra il nostro pianeta e il suo satellite è pressapoco la distanza che coprirebbero i tronchi degli abeti rossi venuti giù con la tempesta. I tronchi sono anche sulla scena creata da Alberto Nonnato, sono diciotto mozziconi di alberi piantati sul palcoscenico, che arrivano direttamente dai boschi distrutti. Il racconto si muove a partire dal dato di cronaca, ripercorrendo il succedersi delle allerta meteo di quei giorni, lo scirocco caldo e appiccicoso, insolito per queste zone e per il periodo, gli incendi che precedettero la tempesta, e poi la furia del disastro, dove il numero di vittime “vegetali” è pari a quello dei caduti della Grande Guerra, che proprio a queste latitudini (e altitudini) ha riscosso un cospicuo tributo di sangue. Al dettaglio cronachistico Righetto ha sapientemente affiancato tre personaggi che sono frutto di fantasia, il muratore Silvestro, il giovanissimo studente Paolo e la vecchissima Agata. Il dolore della montagna ferita si riflette nel loro dolore, nei loro occhi increduli di fronte a tanta devastazione, nel loro sperdimento e nella loro voglia di rivalsa sulla tragedia, come in un romanzo di Mario Rigoni Stern o nel “Barnabo delle montagne” di Dino Buzzati.

Andrea Pennacchi in “Da qui alla luna” Foto Serena Pea

Andrea Pennacchi si muove nel solco del teatro civile tracciato da Marco Paolini, ma trova un approccio tutto personale al genere. Padroneggia la scena forte di una fisicità prorompente che non si maschera di smargiasseria, ma sa mettersi al servizio di un dispositivo scenico che è di per sé impeccabile. La lingua è bagnata quel tanto che basta di dialetto, intrisa di provincia, la voce profonda senza artifici d’impostazione, schietta come un buon vino che sa parlare al corpo e all’anima. Cede volentieri la parola alle canzoni di Giorgio Gobbo, che raccontano il rapporto dei personaggi con la loro montagna. L’orchestra usa una sonorità quasi anti-melodica per raccontare il crepitare delle fiamme, l’ululato del vento e il rombo incessante della pioggia.

Il racconto di questo disastro diventa un requiem per una montagna violentata e abbandonata che emoziona e commuove, e invita a riflettere sulla natura dell’atteggiamento dell’uomo, sulle conseguenze dello sfruttamento intensivo delle risorse naturali, e soprattutto sulla nostra fragilità, perché con fatti come questo la natura si fa leopardianamente matrigna e ci ricorda nello stesso tempo la sua forza impressionante e la nostra piccolezza. 

“Da qui alla luna” è in scena al teatro Verdi di Padova fino al 10 novembre, il 12 novembre sarà al Teatro Comunale di Belluno, il 13 dicembre nelle Sale del Museo di Monselice e il 26 gennaio al Teatro Quirino De Giorgio di Vigonza.

 

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