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Bambini: alimentazione e disturbi del linguaggio sono legati

Diete veg aumentate del 20%, i pediatri SIPPS lanciano l'allarme: attenti allo sviluppo psicomotorio dei bambini, raccomandanzioni invariate

Alimentazione e disturbi del linguaggio nei bambini, IdO: “Sono connessi. Con ciuccio e biberon fino ai 6 anni problemi assetto bocca”

C’è un filo che collega l’alimentazione ai disturbi del linguaggio nei più piccoli. È questo uno dei campanelli d’allarme lanciato da Paola Vichi, logopedista, psicologa e psicoterapeuta dell’Istituto di Ortofonologia (IdO) che, a Roma, ha tenuto una relazione al corso Ecm sui ‘Segni e segnali nel bambino della societa’ di oggi’. Strettamente connessi, dunque “lo sviluppo sensomotorio al momento del pasto, con tutti i cambiamenti che avvengono- spiega Vichi alla Dire (www.dire.it)- sulle consistenze e il tipo di cibo che il bambino mangia”. Il passaggio dall’alimentazione liquida del lattante a quella semi-solida e poi al cibo vero e proprio implica “una competenza orale e motoria che si diversifica nel tempo”.

Abilità “legata proprio alle nuove capacità che il bambino, crescendo, acquisisce nel muovere la lingua all’interno della bocca, nel chiudere la bocca e nell’utilizzare i muscoli di bocca, labbra e lingua”, continua la psicologa. La masticazione, infatti, con la crescita “si fa più specializzata, così come la deglutizione. Questo tipo di progressione sul piano dell’alimentazione è strettamente connessa al modo in cui bambino utilizzerà la lingua per i primi suoni, vocalici all’inizio e poi sempre più complessi“, aggiunge Vichi. L’alimentazione, dunque, e nello specifico la consistenza dei cibi, “è strettamente correlata con la specializzazione oroprassica finalizzata al linguaggio”.

L’UTILIZZO DI CIUCCIO E BIBERON

Anche “un utilizzo prolungato” di ciuccio e biberon può dare luogo “a un morso della bocca molto alterato, malocclusioni dei denti e problematiche- avvisa la logopedista- che saranno poi di interesse del dentista e dell’ortodonzista”. Per uso prolungato Vichi intende “fino ai 5-6 anni”, e ci tiene a ricordare che “il biberon deve servire per nutrire, appartiene quindi a un’età tipica che non può arrivare ai 6 anni”. Lo stesso principio è valido per il ciuccio, che “ha una funzione consolatoria o di addormentamento e tranquillizzazione, e dovrebbe essere legata a un’età non superiore ai 3 anni”.

L’aspetto problematico del ciuccio è che tende a provocare una posizione “della lingua bassa e sempre spinta in avanti– fa sapere la psicoterapeuta- che modificherà le posizioni dei denti e tutto l’assetto della bocca per un tempo prolungato”, aggiunge. Ma i difetti del linguaggio possono indicare anche una fase normale. “Il baby talking fa parte di quel modo infantilizzato di parlare, ed è completamente naturale e fisiologico”. C’è da preoccuparsi di “un ritardo importante o di distorsioni del linguaggio intorno ai 3-4 anni. Dopo i 4, infatti, c’è un disordine fonologico serio che è da attenzionare”.

Per i genitori “si potrebbero scrivere tanti vademecum”, ma è sempre necessario inquadrare “le difficoltà legate all’alimentazione dentro una storia”: dall’intera famiglia “all’evoluzione dell’esperienza dei singoli genitori”, continua Vichi. Tuttavia di spunti comuni da cogliere ne permangono moltissimi, a partire dallo svezzamento. “Perché ci sono bambini che protraggono il mangiare pappe o l’uso del biberon per molto tempo. Senza assaporare mai nuovi gusti, sapori e consistenze”, riflette la psicoterapeuta. I bambini hanno bisogno di “approcciare al cibo in maniera naturale e progressiva” e per questo, a detta di Vichi, sono da favorire alcuni compromessi: “Il minestrone rispetto al piatto di verdure ad esempio”, o ancora, “incentivare le occasioni conviviali come lo stare a tavola tutti insieme a mangiare- conclude- anziché far mangiare il bambino da solo davanti alla Tv”.

DISTURBI COMPORTAMENTO, IDO: CAMBI REPENTINI SEGNI ALLARME

“Assistiamo fino a un 20% di aumento delle problematiche di salute mentale nell’infanzia e il livello ‘comportamento’ è la vera emergenza. Tutti i comportamenti drastici, quelli che cambiano repentinamente, rappresentano un campanello di allarme”. Parte da qui Elena Vanadia, neuropsichiatra infantile dell’Istituto di Ortofonologia (IdO), per introdurre ad una platea di pediatri i segnali dei rischi neuroevolutivi e comportamentali dei bambini, al corso promosso dal Sindacato italiano specialisti pediatri insieme all’IdO a Roma. Nei primi 2 anni di vita il bambino ha un potenziale innato, ma come lo svilupperà dipenderà dall’ambiente in cui si trova.

“Le aree dello sviluppo procedono in modo integrato- spiega Vanadia- tanto che nei primi 1.000 giorni di vita i fattori innati e quelli ambientali interagiscono nel determinismo della sua personalità. Nessuna dimensione deve essere trascurata- afferma- è importante osservare l’alimentazione, l’ambiente, l’attaccamento, la cognizione e la relazione, la comunicazione e il linguaggio, il gioco e il movimento, il senso e la percezione, e infine la plasticità“.

Ecco le tappe dello sviluppo

“Occupandoci di età prescolare e sviluppo neuro-psico-comportamentale, sappiamo che in età evolutiva le funzioni non solo emergono ma si organizzano spesso per come saranno poi nel corso della vita”. Da un punto di vista fenomenologico la maturazione delle funzioni regolatorie avviene per fasi. “Alla nascita- continua la neuropsichiatra dell’IdO- il bambino è impegnato ‘nella regolazione dei suoi stati fisiologici’, come il ritmo sonno-veglia piuttosto che il battito cardiaco o il ritmo respiratorio, quali processi arcaici mediati prevalentemente dal tronco encefalico. Nel corso del primo anno di vita avviene la regolazione emotiva, che condurrà il bambino attraverso l’altro – che funziona per lui da etero regolatore psicobiologico – fino a raggiungere una serie di competenze, anche comportamentali, mediate prevalentemente dal sistema limbico”. Nell’arco del secondo anno di vita si inizia ad organizzare in modo più sostanziale la regolazione attentiva.

“Questa si può stabilizzare soltanto se le due fasi precedenti – la regolazione fisiologica e quella emotiva dei bambini – siano state sufficientemente stabilizzate. Se ciò non avviene- avverte Vanadia- la funzione potrà emergere, ma non potrà raggiungere il potenziale di quel bambino e la stabilità che noi ci aspetteremmo a quell’età. La regolazione attentiva, come le funzioni emergenti che riguarderanno le funzioni esecutive, la regolazione del comportamento e la consapevolezza di sé (raggiunte invece intorno al quinto anno) sono tutte mediate dalla corteccia, la nostra parte più evoluta e più specializzata. In particolare la corteccia prefrontale, che è l’ultima a maturare anche in termini di mielinizzazione, è presieduta dalle cortecce associative, temporali e parietali che ci permettono di mettere insieme i dati e di decodificare l’esperienza sensoriale. A loro volta queste cortecce- puntualizza la studiosa- sono precedute dalla maturazione delle cortecce sensomotorie, un fatto che rappresenta la prova neurobiologica che nei primi 2 anni di vita col bambino ci si relaziona prevalentemente attraverso il corpo, la mimica, il gioco e gli scambi mediati da un piacere legato alla condivisione e al divertimento”.

A due anni, quindi, “non si può parlare di disturbo del comportamento poiché la funzione preposta non c’è ancora”. Per fare chiarezza sulle tappe di sviluppo evolutivo dei bambini ed aiutare gli operatori del settore, l’IdO ha elaborato un questionario di circa 25 domande che il pediatra potrà utilizzare con i bambini da 0 a 6 anni. “Il nostro obiettivo non è tanto individuare i campanelli di allarme di un disturbo comportamentale già definito, ma prevenire la strutturazione di un disturbo del comportamento- rimarca la neuropsichiatra infantile- facendo leva su tutti quei precursori che già nei primi 5 anni di vita possono farci sospettare una disregolazione, una difficoltà che condurrà al disturbo”. Indicatori chiari “che devono allertarci sui segnali di allarme propri di ogni età esistono. Un bambino ha difficoltà ad afferrare un oggetto? Non sta seduto in autonomia superati gli 8 mesi? È subagitato o troppo cauto? Tutti gli eccessi devono accendere una lampadina”, chiarisce Vanadia. “Non sopporta i vestiti, il bagnetto, il phone o la sabbia e i cibi tra le mani? Può trattarsi di un bambino che non ha ancora stabilizzato una integrazione sensoriale percettiva, che gli consenta di tollerare una ipersensorialità tattile. Basta un solo suggerimento al genitore per fargli cambiare la storia evolutiva del figlio. Un esempio? Mettendogli la camicia della fortuna si riduce la superficie di impatto del bambino quando fa il bagnetto e si risolve la tolleranza dell’acqua”. Una prova sono i prematuri, “che hanno una serie di traumi da superare. Gli incidenti relazionali succedono e si chiamano rotture- precisa la neuropsichiatra- vanno benissimo se ci sono le riparazioni. Daniel Stern, psichiatra e psicoanalista, lo conferma ricordando che lo sviluppo passa per rotture e riparazioni”.

E’ allora importante che ogni pediatra sappia osservare “la qualità del sonno, dell’alimentazione, del movimento, della relazione, l’ipo o l’ipersensibilità e il gioco simbolico dei bambini. La capacità di trovare l’oggetto nascosto e il gioco del cucù purtroppo si stanno perdendo- ricorda la neuropsichiatra- eppure sono la base della mentalizzazione, insegnano a mettersi nei panni dell’altro. Giocandoci il bambino impara a riconoscere anche le conseguenze delle sue azioni sull’altro”.

Vanadia punta, infine, l’attenzione sulle diagnosi errate. “Un bambino iperattivo, ipercinetico, può essere in realtà un bambino depresso e un primo campanello di allarme può emergere nei deficit delle funzioni esecutive, attenzionate dopo i 5 anni. Siamo stanchi di vedere diagnosi che propongono protocolli terapeutici che non si adattano al singolo bambino. Spesso a un sintomo si fa corrispondere una diagnosi, ma non è così”.

Oltre il questionario, l’IdO ha elaborato anche una scheda di screening e monitoraggio neuroevolutivo per individuare precocemente il rischio evolutivo nei primi 24 mesi di vita. È strutturata in 5 blocchi di domande suddivise per fasce d’età (0-3, 4-6, 7-12, 13-18, 19-24 mesi), ciascun blocco potrà essere utilizzato indipendentemente dagli altri e la somma dei punteggi segnati rientrerà in un range in base al quale è possibile trovare la scelta operativa suggerita. In ciascuna scheda sono presenti domande ‘critiche’, se anche in una sola di queste il bambino prendesse un punteggio 2 sarebbe opportuno un approfondimento specialistico.

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