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Percorsi riabilitazione: intervengono fisioterapisti Aifi

Per il fisioterapista di comunità servono delle norme: parla Melania Salina, vicepresidente Commissione d'Albo Nazionale Fisioterapisti

Percorsi di riabilitazione: AIFI, l’Associazione Italiana Fisioterapisti, interviene sullo schema di accordo relativo alle Linee di indirizzo per percorsi appropriati

L’Associazione Italiana Fisioterapisti, prendendo atto e superando la sorpresa legata alla mancata condivisione nelle fasi di preparazione e confronto, ritiene doveroso portare un contributo allo schema di accordo riguardante le ‘Linee di indirizzo per l’individuazione di percorsi appropriati nella rete di riabilitazione’, inviato nelle scorse settimane dal ministero della Salute alla Conferenza Stato-Regioni.

L’Associazione ritiene infatti che questa opportunità di aggiornamento in tema di percorsi, appropriatezza e rete dei servizi di riabilitazione debba essere occasione per rendere coerenti gli indirizzi e le disposizioni di legge, tenendo conto degli attuali mutamenti epidemiologici e organizzativi di riferimento.

Il documento ministeriale, ad avviso di AIFI, non soddisfa infatti appieno le complessive esigenze di un sistema chiamato a cogliere davvero i cambiamenti intervenuti, tendendo piuttosto a riformulare quanto già previsto nel PINDRIA (Piano di indirizzo della Riabilitazione) del 2011, già fortemente criticato dalla nostra associazione insieme ad altre realtà tra cui la FISH (Federazione Italiana Superamento Handicap).

La riproposizione di soluzioni organizzative e modelli di responsabilità professionali, cristallizzate a quasi 10 anni fa, duplica e sovrappone titolarità delle specifiche professioni che, invece, anche sul piano normativo sono ormai sufficientemente distinte. Quanto esposto, invece di consentire fluidi percorsi di cura e assistenza, pone diagrammi di flusso di particolare complessità, inserendo tortuosità e ‘colli di bottiglia’ impropri, che certamente non riescono a superare le criticità storiche della Riabilitazione. Tale impostazione inquina anche alcune importanti definizioni e condiziona di fatto un approccio del piano non solo medico-centrico, ma anche medico-specialistico.

Il testo sottoposto all’approvazione della Conferenza Stato-Regioni,sempre secondo l’Associazione maggiormente rappresentativa dei fisioterapisti italiani, non risolve minimamente (perché non le affronta)le ragioni che hanno di fatto reso inapplicato il PINDRIA in buona parte del territorio nazionale.

Per AIFI con l’imputare la mancata applicazione di quanto previsto dal Piano unicamente alla ‘negligenza organizzativa’ delle Regioni, senza offrire un’analisi convincente dell’insuccesso della proposta, si corre il rischio di avere il medesimo esito. Invece, nel decennio trascorso, le Regioni hanno investito, sia sotto il profilo formativo sia organizzativo, ingenti risorse e competenze.

Il legislatore, con una scelta normativa di riforma del sistema, ha infatti creato un sistema pluridisciplinare orizzontale che affida alle diverse competenze percorsi riabilitativi e preventivi che in diverse Regioni ha già permesso la realizzazione di modelli organizzativi innovativi e soprattutto maggiormente rispondenti all’evolversi dei bisogni della cittadinanza.

Alla luce di questa analisi, l’AIFI come riferisce la Dire (www.dire.it) ha elaborato un documento contenente nove punti, la cui stesura è stata curata dal gruppo di lavoro coordinato da Fabio Bracciantini, Delegato allo Sviluppo nel Sistema Pubblico e Privato Accreditato. L’auspicio è che vengano presi in considerazione dalle istituzioni di riferimento e recepiti dalla Conferenza Stato-Regioni, nella certezza che le proposte e i suggerimenti, se assunti, migliorerebbero senz’altro il documento del ministero, verso il raggiungimento degli obiettivi dichiarati.

Ecco i ‘nodi’ per cui, secondo AIFI, si rende necessaria una revisione delle indicazioni contenute nel testo elaborato dal ministero:

1) L’impianto di questo documento non sarà in grado di guidare la Riabilitazione italiana nel prossimo decennio a fronte del trend epidemiologico, della riduzione delle risorse disponibili e della riduzione del numero dei medici all’interno del corpo professionale sanitario.

In altre parole, la risposta data dal ministero intende rafforzare le centralità delle strutture organizzative ospedaliere rispetto alla gestione dei percorsi di presa in carico delle persone con disabilità, puntando sul ruolo centrale del medico specialista in riabilitazione rispetto ad altre competenze specialistiche, coinvolte solo marginalmente, senza inoltre tenere conto nemmeno dell’evoluzione professionale delle professioni sanitarie.

2) Le Linee guida del ’98 hanno introdotto il moderno strumento del Progetto Riabilitativo Individuale (PRI) per affrontare in maniera globale le disabilità complesse: oggi però il PRI non può essere proposto per tutte le condizioni che attivano l’intervento riabilitativo, in modo particolare per disabilità temporanee non complesse o per i quadri prevalenti di cronicità, per i quali il MMG svolge un ruolo centrale.

3) Riteniamo necessario aggiornare le definizioni di intensività ed estensività del trattamento riabilitativo, non racchiudibili nel solo tempo di trattamento (tre ore o un’ora), che non consentono una sufficiente e univoca interpretazione di intensività. È necessario un contesto di multidisciplinarietà, attivata per la complessità del caso o per la presenza di instabilità clinica, così come attualmente espresso nel PINDRIA 2011. La sola diversa complessità del documento ministeriale non è sufficiente nemmeno per l’ambito ambulatoriale.

4) È evidente che anche in riabilitazione è mutato il quadro epidemiologico: esso definisce una domanda caratterizzata, da una parte da bisogni ad elevato utilizzo di risorse professionali e tecnologiche e, dall’altra, da bisogni legati alla cronicità ed invecchiamento della popolazione che richiede interventi più orientati all’empowerment del paziente. Bisogni diversi presuppongono strumenti e modalità diverse.

5) Sarebbe necessario, a tal proposito, sviluppare strumenti di governo dei percorsi assistenziali-riabilitativi integrati con la comunità e la Medicina generale, che in coerenza con la ‘medicina di iniziativa’ sappiano promuovere una presa in carico con un approccio proattivo, in grado di sostenere anche processi di self-management da parte del cittadino, che non cancelli la titolarità del MMG quale primo custode della salute dei cittadini.

6) Laddove si affronta l’attività riabilitativa territoriale, il Documento Ministeriale colloca l’attività dei Servizi Territoriali unicamente a supporto e ‘completamento’ del programma riabilitativo già erogato nel setting ospedaliero. La visione ‘ospedalocentrica’ del documento è ampiamente superata anche da atti formali (Piano per la cronicità, Patto per la salute, LEA, ecc.).

7) Una maggiore attenzione deve essere posta allo sviluppo degli strumenti per la gestione della continuità fra ospedali per acuti, low-care riabilitativa, strutture di cure intermedie e territoriali, compreso il domicilio. La gestione non può essere lasciata a una unica figura professionale ma che deve risultare dalla condivisione, fra i diversi ‘attori’ professionali, dei criteri di assegnazione al setting riabilitativo appropriato, degli indicatori di risultato e della variabilità del ruolo di case manager secondo la prevalenza del bisogno di ogni singola persona.

8) La soluzione del Dipartimento di Riabilitazione, oltre a riproporre le contraddizioni rispetto alla esigenza di multiprofessionalità e interdisciplinarietà (contrasta infatti con l’idea del lavoro integrato con le altre componenti cliniche-professionali, di saperi multidisciplinari tra Ospedale e Territorio), è una soluzione già bocciata sul campo e non realizzata nella maggior parte delle Aziende Sanitarie del Paese anche per la sua insostenibilità economica ed organizzativa.

9) Auspichiamo, inoltre, lo sviluppo e messa a regime, nell’ambito del NSIS (Nuovo Sistema Informativo Sanitario), del sistema di rilevazione delle attività di riabilitazione che, superando l’attuale modalità sostanzialmente di tipo quantitativo, attraverso l’utilizzo sistematico di strumenti di valutazione clinica, funzionale e del contesto ambientale, renda possibile una valutazione degli esiti degli interventi in rapporto ai diversi setting di erogazione (sia ospedalieri che territoriali, sia in regime di degenza che ambulatoriale) e alle procedure utilizzate. Riteniamo che il primo step possa sicuramente essere la predisposizione della SDO (Scheda di Dimissione Ospedaliera) di Riabilitazione. I flussi di pertinenza territoriale devono prestare specifica attenzione agli elementi di possibile sovrapposizione fra ambito riabilitativo in senso stretto ed ambito assistenziale integrato.

La sfida che l’AIFI si pone, quindi, è quella di coniugare un’offerta di servizi sanitari sempre più efficaci ed efficienti ai cittadini, rispondenti a bisogni ‘nuovi’ e diversi, con la valorizzazione di ruoli e funzioni dei professionisti della salute non solo in ospedale ma anche e soprattutto nel territorio, costituendo quest’ultima, la sfida più rilevante nell’innovazione. Per questo l’Associazione ritiene indispensabile un ulteriore approfondimento/modifica del documento per orientare l’organizzazione delle risposte tenendo conto di tutte le potenzialità presenti nel sistema. Allo stesso tempo, infine, AIFI vuole stimolare anche le Regioni alla valorizzazione delle ‘buone pratiche’ fino ad ora attuate anziché limitarsi a riproporre modelli che hanno già dimostrato non funzionare.

Ecco il testo ufficiale inviato alla Conferenza Permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province Autonome di Trento e Bolzano: https://aifi.net/wp-content/uploads/2019/09/Osservazioni-AIFI-percorsi-riabilitazione.pdf

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