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Hot Jupiter: prime misure dei campi magnetici

Ricostruito l’identikit di Hd 80653 b, una Super-Terra con un’orbita molto vicina alla sua stella madre, distante da noi 355 anni luce

Misurato per la prima volta il campo magnetico degli Hot Jupiter, i cosiddetti “gioviani caldi”: si apre una finestra sulla loro dinamica interna

Sono in assoluto le prime misure dei campi magnetici di esopianeti di grande massa e molto vicini alla loro stella madre, quelli che vengono chiamati “gioviani caldi” o Hot Jupiter. A realizzarle è stato un gruppo internazionale di astronomi guidati da Wilson Cauley dell’università del Colorado a Boulder, e a cui ha partecipato Antonino Lanza, ricercatore dell’Istituto nazionale di astrofisica. I risultati dello studio, pubblicato in un articolo sulla rivista Nature Astronomy, indicano che i quattro pianeti giganti presi in esame, tra cui quelli attorno alle stelle tau Bootis e Upsilon Andromedae, mostrano un’intensità del loro campo magnetico compresa tra 20 e 120 Gauss – valori molto elevati, fino a otto volte quello del nostro Giove e oltre 100 volte quelli del campo magnetico terrestre.

«Si tratta delle prime misure di campi magnetici ottenuti per questi pianeti e delle prime in assoluto basate sull’interazione stella-pianeta osservando spettroscopicamente le atmosfere stellari con telescopi da terra» spiega Lanza, dell’Inaf di Catania. «A differenza delle misure radio, il nostro metodo fornisce misure indirette che dipendono dall’assunzione che le emissioni osservate siano prodotte proprio dall’interazione magnetica tra la stella e il suo pianeta gigante».

Questi valori dell’intensità del campo magnetico sono in accordo con alcuni recenti modelli teorici che assumono che una certa frazione dell’energia ricevuta dal pianeta sotto forma di irraggiamento da parte della sua stella sia trasferita nei suoi strati interni, dove contribuisce a rafforzare i moti convettivi che mantengono enormi correnti elettriche.

I pianeti di tipo Hot Jupiter sono giganti gassosi che orbitano a circa 5-10 milioni di chilometri dalla loro stella, a differenza di Giove che orbita a circa 780 milioni di chilometri di distanza dal Sole. Analogamente al nostro Giove, che è dotato di un campo magnetico con un’intensità circa 15 volte maggiore di quello della nostra Terra, si ritiene che anche gli Hot Jupiter siano dotati di campi magnetici, ma nessuno di essi era stato ancora direttamente misurato utilizzando l’emissione radio che ci si attende di osservare così come nel caso di Giove. «A distanze stellari e nell’ambiente ricco di plasmi relativamente densi prodotti dall’evaporazione degli stessi Hot Jupiter, queste misure sono estremamente difficili e quindi non sorprende che finora i vari tentativi non avessero prodotto risultati», aggiunge Lanza.

D’altra parte, la conoscenza dei campi magnetici degli Hot Jupiter è fondamentale per comprendere la loro struttura interna e l’interazione con la loro stella. I campi magnetici possono modificare in modo rilevante il tasso di evaporazione dei pianeti e, tramite la misura della loro intensità, forniscono informazioni sui processi fisici al loro interno. Infatti, il campo magnetico è prodotto da correnti elettriche che circolano nell’interno dei pianeti. Nel caso di Giove, il campo è generato da correnti negli strati interni formati da idrogeno metallico, dove esse vengono mantenute dall’interazione tra la rotazione ed i moti convettivi in una gigantesca dinamo autoeccitata.

«Misurare il campo magnetico degli Hot Jupiter ci consente così di aprire una finestra sulla loro dinamica interna, altrimenti del tutto inaccessibile. I modelli proposti dai teorici predicono valori del campo che differiscono anche di cento volte per lo stesso pianeta, a seconda dei processi che regolano l’efficienza della dinamo, dei quali abbiamo una comprensione ancora molto limitata. Questi primi, importanti risultati ci consentiranno di vincolare i modelli teorici, accrescendo così la nostra conoscenza sull’interno degli Hot Jupiter e sulla loro interazione con la stella intorno a cui orbitano», conclude Lanza.

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