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Malattia renale diabetica: scoperti enzimi protettivi

L'ipoglicemizzante canagliflozin per il diabete di tipo 2 ha dimostrato di avere maggiori effetti protettivi renali con elevata albuminuria al basale nei pazienti

Malattia renale diabetica, scoperti nuovi marcatori con funzione protettiva. Primi passi per una possibile terapia

Secondo i risultati di uno studio pubblicato di recente sulla rivista Diabetes Care i ricercatori avrebbero scoperto alcuni enzimi che sembrano avere un effetto protettivo contro la malattia renale diabetica e che potrebbero potenzialmente essere utilizzati per sviluppare nuove terapie per questa condizione.

In particolare la ricerca ha messo in luce che le persone senza malattia renale diabetica (Dkd) pur soffrendo di diabete di tipo 1 da molti anni, avevano livelli elevati di piruvato chinasi M2(PKM2) nei glomeruli renali, la regione filtrante deputata a rimuovere dal sangue i prodotti di scarto.

Questa scoperta suggerisce che questo enzima possa svolgere un potente ruolo protettivo contro la malattia renale, affermano gli autori, guidati da Daniel Gordin del Joslin Diabetes Center di Boston, in Massachusetts e dell’Università di Helsinki, in Finlandia.

Lo studio ha anche identificato anche un’altra molecola che potrebbe avere una funzione protettiva contro la Dkd, la proteina precursore dell’amiloide (APP, Amyloid Precursor Protein). I risultati potrebbero essere utilizzati per sviluppare dei biomarcatori che possano aiutare a determinare il rischio di sviluppare la malattia, oltre che per interventi personalizzati per la condizione e per potenziali nuove terapie, affermano gli autori.

«La malattia renale diabetica è una condizione devastante, è un’importante causa di malattie cardiovascolari e, alla fine, di mortalità. Abbiamo davvero bisogno di trovare qualcosa per aiutare queste persone. Tutti questi studi richiedono tempo, ma già questi risultati sono molto promettenti» ha commentato Gordin.

Protezione contro la malattia renale diabetica
La nuova ricerca è nata dalle precedenti osservazioni emerse dal Joslin Medalist Study, che comprendeva oltre 1000 persone con diabete di tipo 1 da almeno 50 anni ma che non avevano sviluppato complicazioni della malattia. Il lavoro svolto in passato da questo team di ricerca aveva scoperto che le persone senza malattia renale avevano livelli più alti di un gruppo di enzimi legati al metabolismo del glucosio nei loro glomeruli renali.

Più specificatamente i partecipanti senza malattia renale avevano livelli 2,7 volte più elevati di piruvato chinasi M2, un enzima che svolge un ruolo sia nel metabolismo del glucosio che nel ciclo di Krebs, un processo fondamentale per la produzione di energia a partire dai nutrienti.

«Da queste osservazioni è nato il razionale secondo cui deve esserci qualcosa che protegge queste persone dalla malattia renale diabetica, il che spiegherebbe come questi individui siano stati in grado di vivere con il diabete insulino-dipendente per così tanti anni», ha spiegato Gordin.

Nuove analisi confermano i risultati
Per meglio comprendere il potenziale effetto protettivo della piruvato chinasi M2 anche nei non partecipanti al trial Medalist e l’eventuale presenza di altri fattori protettivi, i ricercatori hanno condotto ulteriori esperimenti, sia nel plasma che nel tessuto renale, e hanno esteso la ricerca a una popolazione più diversificata di pazienti con diabete di tipo 2 e di tipo 1.

Esaminando il tessuto renale post-mortem di pazienti con diabete di tipo 1 (n = 15), diabete di tipo 2 (n = 19) e senza diabete (controlli, n = 5), hanno rilevato che i livelli tendevano a essere più bassi nei soggetti con diabete di tipo 2 rispetto ai non diabetici (p=0,08) come anche negli individui con grave Dkd rispetto a quelli con funzione renale conservata (p=0,07).

In quanti avevano il diabete di tipo 2 senza Dkd è stata anche rilevata una upregulation di quattro enzimi coinvolti nella glicolisi, uno dei quali era la piruvato chinasi M2.

Analizzando il plasma hanno identificato un numero di metaboliti e proteine ​​che risultavano anch’essi elevati, e ne hanno mappato le relative vie genetiche per cercare di comprendere la relazione causa-effetto dei loro innalzamenti. Nel loro insieme gli studi sul plasma hanno suggerito la PKM2 può essere protettiva anche in altri tessuti oltre al rene, mentre l’analisi delle proteine ​​e dei metaboliti ha fatto ipotizzare che la protezione contro la Dkd potrebbe essere legata alla capacità dell’enzima di controllare il glucosio libero all’interno delle cellule e di neutralizzare i metaboliti tossici.

«Siamo stati in grado di replicare i risultati legati agli alti livelli di PKM2 nei soggetti con una buona funzionalità renale sia nel diabete di tipo 1 che di tipo 2», ha detto il co-autore Hetal Shah, sempre del Joslin Diabetes Center.

Ruolo protettivo della proteina precursore dell’amiloide
I ricercatori hanno inoltre riscontrato livelli significativamente elevati di APP nei soggetti senza Dkd rispetto a quelli con malattia renale (p=0,01), suggerendo che la proteina «possa essere un potenziale fattore protettivo contro la malattia renale diabetica», ha aggiunto Shah. «Un risultato sorprendente, dal momento che questa proteina può avere proprietà antitrombotiche, ma è soprattutto nota per essere associata a un maggior rischio di sviluppare la malattia di Alzheimer».

«L’APP sembra essere potenzialmente protettiva in più tessuti vulnerabili nelle persone con diabete. A questo punto, avremmo bisogno di ulteriori studi per confermare questi risultati», ha concluso.

Nuovi ipoglicemizzanti agiscono anche contro l’insufficienza renale
Data la gravità della nefropatia diabetica, che nel mondo occidentale rappresenta la causa principale di insufficienza renale cronica, e considerato che viene sviluppata dal 30-40% dei diabetici, assumono ancora più rilevanza i risultati dello studio di fase III CREDENCE. In questo studio, appena pubblicato sul New England Journal of Medicine, l’SGLT2 inibitore canagliflozin ha dimostrato di ridurre significativamente il rischio di insufficienza renale nei pazienti con diabete di tipo 2 e malattia renale cronica, un risultato mai ottenuto prima da un antidiabetico.

Lo studio ha mostrato con canagliflozin una riduzione del 30 percento nel rischio dell’endpoint primario composito, che comprendeva la progressione verso la malattia renale allo stadio terminale (Eskd), definita come la necessità di una terapia sostitutiva renale come la dialisi cronica o il trapianto renale, la progressione verso il raddoppio della creatinina sierica, un predittore chiave della Eskd, e la morte renale o cardiovascolare (p<0,0001).

Sulla scorta dei risultati clinici, lo scorso marzo Janssen ha presentato alla Fda una New Drug Application per canagliflozin per la riduzione del rischio di Eskd, del raddoppio della creatinina sierica e per la riduzione della morte renale o cardiovascolare negli adulti con insufficienza renale cronica e diabete di tipo 2.

Se questa nuova indicazione venisse approvata, canagliflozin sarebbe il primo farmaco in commercio per il trattamento del diabete di tipo 2 e insufficienza renale cronica, diventando una nuova importante opzione terapeutica per i milioni di pazienti in tutto il mondo che convivono con entrambe queste patologie.

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