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I grandi comuni faticano a pagare i fornitori

La fotografia scattata dalla CGIA di Mestre: al 31 dicembre 2018 i grandi comuni italiani avevano 3,6 miliardi di euro di debiti nei confronti dei propri fornitori

La fotografia scattata dalla CGIA di Mestre: al 31 dicembre 2018 i grandi comuni italiani avevano 3,6 miliardi di euro di debiti nei confronti dei propri fornitori

La fotografia scattata dalla CGIA di Mestre: al 31 dicembre 2018 i grandi comuni italiani avevano 3,6 miliardi di euro di debiti nei confronti dei propri fornitori

Al 31 dicembre 2018 i grandi comuni italiani avevano 3,6 miliardi di euro di debiti nei confronti dei propri fornitori. Ad affermarlo è la CGIA di Mestre.

Una somma importante che, comunque, risulta essere sottodimensionata, visto che in questa elaborazione non sono incluse molte Amministrazioni comunali [1] che, ad oggi,  non hanno ancora pubblicato/aggiornato sul proprio sito il numero dei creditori e l’ammontare complessivo  dei debiti maturati alla fine dello scorso anno per le seguenti voci di spesa: somministrazioni, forniture, appalti e prestazioni professionali [2].

“Debiti – segnalano dalla CGIA – che includevano anche quelli non ancora scaduti che, tuttavia, dovevano essere onorati per legge entro lo scorso 31 gennaio. Somme, pertanto, che rispetto alla dimensione registrata alla fine dell’anno scorso potrebbero, allo stato attuale, essersi notevolmente ridotte, anche se i dati riportati successivamente dai singoli Comuni non ci hanno consentito di provare questo assunto”.

“Sebbene negli ultimi anni i vincoli imposti dal patto di stabilità interno siano stati superati – segnala il coordinatore dell’Ufficio studi Paolo Zabeo –  molti Comuni continuano a liquidare i propri fornitori  con tempi abbondantemente superiori a quelli stabiliti per legge. In particolar modo al Sud. Nelle grandi Città Metropolitane, inoltre, dove le spese sono  sensibilmente superiori a quelle sostenute dalle Amministrazioni di medie e piccole dimensioni, lo stock degli insoluti rimane ancora elevato e in molti casi addirittura in aumento rispetto agli anni precedenti. Come nei casi di Roma, Milano, Torino, Cagliari e Venezia”.

Sebbene il Ministero dell’Economia e delle Finanze (MEF) sostenga che i tempi di pagamento di tutte le Pubbliche amministrazioni (Pa) stiano diminuendo [3], i tecnici di  via Venti Settembre sono giunti a questa conclusione dopo aver elaborato dati ancora molto parziali, visto che hanno monitorato “solo” 20,3 milioni di fatture su un totale di 28 milioni emesse nel 2018 (ovvero, il 72,5 per cento del totale) dai grandi comuni.

Secondo il MEF, pertanto, l’ammontare complessivo del debito residuo non pagato al 31 dicembre 2018 ammonterebbe a 26,9 miliardi di euro. Dato che si riferisce alle sole fatture emesse nel 2018 e con i limiti appena descritti.

“Grazie all’introduzione  della fatturazione elettronica – afferma il segretario Renato Mason – le cose sono migliorate. Dalla fine del mese di marzo del 2015, infatti,  tutti i fornitori della Pa hanno l’obbligo di emettere la fattura in formato elettronico. Una disposizione che ha reso più trasparente il rapporto commerciale tra il pubblico e il privato, anche se il debito complessivo rimane ancora da definire e i ritardi nei pagamenti  spesso sono ancora del tutto ingiustificati”.

Dai dati ricavati dalla lettura dei siti internet, il Comune di Roma è quello più indebitato: al 31 dicembre 2018 i fornitori dell’amministrazione capitolina  (pari a 4.966 imprese) avanzavano 1,5 miliardi di euro. Nella graduatoria dei “peggiori” pagatori tra i grandi comuni  scorgiamo anche il Comune di Napoli con 432,2 milioni di mancati pagamenti (599 imprese creditrici), il Comune di Milano con 338,2 milioni di euro (2.124 imprese creditrici), l’Amministrazione comunale di Torino con 299,1 milioni (1.161 aziende creditrici) e il Comune di Palermo con 137 milioni (909 imprese in attesa di essere liquidate).

Da segnalare, invece,  la straordinaria performance dei Comuni di Brescia, Ferrara e Trapani: al 31-12-2018, tutte queste Amministrazioni hanno dichiarato di non avere alcun debito nei confronti dei propri fornitori.

A ricordarci che la situazione rimane comunque ancora molto critica è la Commissione europea che, pur avendo riconosciuto gli sforzi compiuti dal Governo italiano, ha avviato una procedura di infrazione con lettera di costituzione in mora nel giugno 2014 e il successivo invio del parere motivato nel febbraio 2017.

Nonostante questi richiami, le Amministrazioni pubbliche italiane necessitavano in media 100 giorni per saldare le loro fatture. A fronte di questa situazione, la Commissione nel dicembre del 2017 ha deciso di deferire l’Italia alla Corte di Giustizia dell’UE, ribadendo il sistematico ritardo con cui le amministrazioni pubbliche italiane effettuano i pagamenti nelle transazioni commerciali, in violazione delle norme dell’UE in materia di pagamenti.

Secondo gli ultimi dati relativi alla periodica indagine condotta da Intrum  Justitia, nel 2018 la nostra PA è stata la peggiore pagatrice in Ue, in quanto ha liquidato i propri fornitori mediamente dopo 104 giorni: più del doppio della media europea che, invece, paga mediamente dopo 41 giorni.

La CGIA, infine, sottolinea che la cattiva abitudine a pagare in ritardo i propri fornitori non riguarda solo la PA, ma anche i committenti nei rapporti commerciali tra le imprese private. Sempre secondo l’indagine condotta a livello europeo da Intrum Justitia, nel 2018 le imprese italiane hanno saldato i propri subfornitori mediamente dopo 56 giorni (peggior risultato a livello europeo dopo il Portogallo), anche se questo lasso di tempo è comunque al di sotto dei canonici 60/90 gironi. Nulla comunque a che vedere con i tempi registrati in Francia (42 giorni), nel Regno Unito (27 giorni) e in Germania (24 giorni). La media Ue, invece, è di 34 giorni:  22 giorni in meno che da noi.

[1] Aosta, Alessandria, Novara, Piacenza, Bergamo, Verona, Pordenone, Reggio Emilia, Parma, Ancona, Foggia, Lecce, Taranto, Catania, etc.

[2] Obbligo di cui all’articolo 7, comma 4-bis, del decreto legge n° 35/2013, convertito con legge n° 64/2013 come modificato dall’articolo 29 del D.Lgs. n° 97/2016.

[3] Ufficio stampa –  Comunicato n° 93 dell’8 maggio 2019

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