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Stelle avvolte da polvere di ferro nella Grande Nube di Magellano

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Scoperte nella Grande Nube di Magellano, una tra le galassie più vicine alla Via Lattea, stelle avvolte in un mantello di polvere di ferro: si trovano in una particolare fase evolutiva

Stelle con poco ferro nel loro interno, elemento che invece diventa protagonista nel tenue guscio di materia che le avvolge.

A scoprire questi astri, decisamente insoliti per il loro stadio evolutivo e la particolare concentrazione di ferro solido presente nell’inviluppo che le circonda, è stato un team internazionale di ricercatrici e ricercatori guidato da Ester Marini, dottoranda dell’Università “Roma Tre” di Roma e associata dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF), di cui fanno parte Marcella Di Criscienzo e Paolo Ventura, dell’INAF, e colleghe e colleghi dell’Agenzia Spaziale Italiana, dell’Istituto di Astrofisica delle Canarie e dell’Università Nordita di Stoccolma.

Le stelle sono state scoperte nella Grande Nube di Magellano, una tra le galassie più vicine alla Via Lattea, a 150mila anni luce da noi. Questi oggetti celesti si trovano in una particolare fase evolutiva, denominata AGB (da “asymptotic giant branch”), durante la quale perdono gran parte della loro massa, grazie a venti stellari che ne strappano via gli strati più esterni.

Le basse temperature e le alte densità degli inviluppi circumstellari delle stelle AGB favoriscono la formazione di considerevoli quantità di polvere, che viene accelerata e poi dispersa nello spazio, insieme al gas stellare.

Questo processo si rivela estremamente importante per il ciclo evolutivo delle galassie, dal momento che la polvere riveste un ruolo decisivo nella formazione di nuove stelle e pianeti, ed è pertanto oggetto di particolare interesse da parte della comunità scientifica internazionale.

L’analisi dei dati del telescopio spaziale Spitzer della Nasa condotte dal team di Ester Marini su alcune stelle nella Grande Nube di Magellano, ha evidenziato una loro peculiare emissione nella banda della radiazione infrarossa.

Grazie ad accurati modelli teorici sviluppati presso l’Osservatorio Astronomico di Roma dell’INAF, i ricercatori hanno scoperto che queste sorgenti celesti hanno una composizione chimica povera di metalli e discendono da stelle di massa pari a circa cinque masse solari, formatesi intorno a 100 milioni di anni fa. Queste stelle sono sorprendentemente circondate per la maggior parte da ferro solido e non, come di solito avviene in stelle di massa simile, da silicati.

“Abbiamo caratterizzato per la prima volta una classe di stelle che presenta delle proprietà spettrali uniche” sottolinea Marini, prima autrice dell’articolo che descrive la scoperta, pubblicato oggi sulla rivista The Astrophysical Journal Letters. “Proprio per via della loro bassa metallicità si instaurano le condizioni necessarie perché il ferro solido sia la specie di polvere presente in quantità maggiori. In tal caso infatti i complessi processi di fusione nucleare attivi all’interno delle stelle AGB sono così efficienti da consumare la maggior parte del magnesio e dell’ossigeno in superficie, elementi necessari per formare altre specie di polvere, come i silicati”.

“Esistono diverse ed indipendenti evidenze per la presenza di ferro solido negli inviluppi di stelle AGB poco metalliche. La ricerca che abbiamo condotto è la prima in grado di fornire una spiegazione teorica per questo fenomeno” commenta Paolo Ventura, ricercatore dell’INAF presso l’Osservatorio Astronomico di Roma e co-autore della ricerca.  Da diversi anni il gruppo da lui coordinato, in collaborazione con l’Istituto di Astrofisica delle Canarie, porta avanti un progetto di ricerca volto a studiare l’impatto che le stelle AGB hanno sul mezzo interstellare, in termini di gas e polvere rilasciati. “Un ulteriore impulso alla ricerca in questo settore arriverà dall’avvento del telescopio spaziale James Webb, che aprirà nuove possibilità per utilizzare i risultati del nostro studio, per individuare tracce di formazione di stelle con bassa metallicità in epoche relativamente recenti” continua Ventura. “Questa missione spaziale infatti”, afferma Simonetta Puccetti dell’Agenzia Spaziale Italiana, “permetterà di aumentare considerevolmente il numero di stelle AGB osservabili nelle galassie del Gruppo Locale e prevede l’utilizzo di uno strumento, MIRI, ideale per l’identificazione di questa classe di stelle”.

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