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Al teatro Niccolini di Firenze il vernacolo con l’Acqua Cheta di Augusto Novelli

L'acqua cheta

L'acqua cheta

Dal 27 dicembre al 6 gennaio, la Compagnia delle Seggiole, capitanata da Fabio Baronti, torna con L’acqua cheta, per la regia di Fabio Spaggiari. Un allestimento filologico, impeccabile, che riporta l’opera alla sua essenzialità. 

L’acqua cheta, al Teatro Niccolini di Firenze dal 27 dicembre al 6 gennaio, è da ritenersi il capolavoro di Augusto Novelli, senza dubbio la commedia più conosciuta e più rappresentata nei teatri di tutta l’Italia del vernacolo fiorentino. Fu messa in scena per la prima volta al Teatro Alfieri di Firenze nel gennaio del 1908 e fu replicata per 26 sere consecutive, dando il via alla rinascita del teatro dialettale fiorentino, che fino ad allora era rimasto come fuoco sotto la cenere.

L’acqua cheta. Ph. Filippo Manzini

110 anni fa, nella notte di Capodanno, al Teatro Alfieri si festeggiava con un banchetto il grande attore Andrea (Dreino) Niccòli, che si preparava a partire in America con la sua compagnia per una tournée. Il commediografo Augusto Novelli, che si trovava a passare di là, fu invitato sul palco a parlare e riuscì a persuadere l’attore a tentare la fortuna con un nuovo progetto teatrale: una commedia che portasse in America il teatro popolare in vernacolo, impegnandosi a scrivere un atto prima della partenza della compagnia. La commedia, in tre atti, debuttò il 29 gennaio, con il titolo L’acqua cheta. Fu un successo clamoroso, travolgente.

Da allora la commedia ha avuto innumerevoli rappresentazioni, sia come lavoro in prosa, sia come operetta (l’adattamento musicale di Giuseppe Pietri è del 1920) e nel corso della sua storia sulla scena ha subito un’evoluzione che ne ha modificato notevolmente la forma, il linguaggio e la stessa gerarchia dei personaggi.

Confermando le intenzioni del Novelli che voleva realizzare attraverso essa la propria idea di teatro popolare, il pubblico e le compagnie che nel corso degli anni l’hanno messa in scena l’hanno fatta propria, intervenendo sul testo, sulle scene e sui personaggi con tagli e aggiunte nate dall’improvvisazione degli attori e dal gradimento del pubblico, trattandola, di fatto, come un prodotto di cultura orale. Nella pratica teatrale oggi non esiste una sola Acqua cheta, ma tante e diverse. E come con ogni lavoro di cultura popolare ci troviamo di fronte da un lato a un gran numero di varianti che la rendono proteiforme, dall’altro a delle consuetudini nella rappresentazione delle singole scene così note e amate dal pubblico che, per quanto non siano ‘scritte’, non è privo di rischi intervenire su di esse per modificarle o rinnovarle.

L’acqua cheta_ ph. Filippo Manzini

Alla luce di tali considerazioni, questa commedia così leggera appare carica di sensi diversi. Uno su tutti: quello di rappresentare per i fiorentini, e forse anche per i non fiorentini, quella Firenze che hanno conosciuto o di cui hanno sentito raccontare, che esisteva ‘prima’. Prima dei turisti, prima dell’alluvione, prima della guerra. In ogni caso, prima di un qualche disastro che le ha cambiato i connotati.

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