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Influenza, i pediatri: “Troppi bambini colpiti, estendere le vaccinazioni”

Bimbi e febbre: paracetamolo e ibuprofene sono la prima arma a disposizione del pediatra. La terapia non cambia con il Covid

La Federazione Italiana Medici Pediatri: “Troppi casi di influenza tra i piccoli, bisogna cambiare strategia. I giovanissimi dai 6 mesi ai 6 anni vanno inseriti nelle categorie considerate a rischio”

L’influenza stagionale anche quest’anno ha interessato soprattutto i giovanissimi. Secondo gli ultimi dati ha colpito il 4% dei bambini con meno di quattro anni e il 2% di quelli d’età compresa tra i 5 e ai 14 anni. In questi giorni mentre la curva dell’incidenza dei casi di influenza per gli adulti sta scendendo, per gli under 14 anni ha ripreso a salire.

“È la dimostrazione che la strategia adottata finora contro l’ influenza in età pediatrica è sbagliata e va modificata – dichiara il dott. Giampietro Chiamenti Presidente Nazionale della Federazione Italiana Medici Pediatri (FIMP) -. Un bambino tende ad ammalarsi di più e spesso deve essere ricoverato. Purtroppo, a volte, ha necessità di cure intensive per le complicanze”.

“L’esigenza di cambiare piano anti influenzale è stata evidenziata dalla FIMP fin dal 2006. Oggi è appoggiata anche dalle altre Società scientifiche pediatriche e non solo. Se vogliamo ottenere maggiori successi servono alcuni fondamentali cambiamenti. Come prima cosa va inserita la fascia di età dei bambini sani dai 6 mesi a 6 anni nelle categorie da vaccinare. Si tratta di un obiettivo certamente ambizioso e di non facile realizzazione in una realtà quale la nostra, storicamente poco propensa a considerare l’ influenza un problema primario e universale di salute pubblica” aggiunge.

Secondo la FIMP per poterlo raggiungere sono necessarie:

“La FIMP – aggiunge Chiamenti – si rende disponibile fin da ora a un confronto propositivo con Ministero, Regioni e l’Istituto Superiore di Sanità. Le politiche di vaccinazione tradizionali, messe in atto dalla maggior parte delle nazioni, stanno dimostrando i loro limiti. In certi Paesi, come in Italia, si registra la difficoltà di raggiungere gli obiettivi preposti. Altre nazioni invece hanno già capito che i casi di influenza si combattono efficacemente solo con un coinvolgimento dell’intero corpo sociale. Dovrebbe essere considerata un’emergenza di salute pubblica che investe l’intera collettività e non un problema solo per alcune categorie a rischio per pregressa patologia cronica o per età avanzata e una routine per tutti gli altri”.

“La scelta di vaccinare i bambini ha un razionale perché rappresentano un elemento chiave nella diffusione della patologia malattia – continua il dott. Giovanni Vitali Rosati referente vaccini FIMP della Toscana -. E poi si ammalano con percentuali elevate, fino al 30%. Diffondono inoltre il virus influenza in misura maggiore e per tempi più prolungati rispetto agli adulti. Ma i bimbi non hanno solo un ruolo di “untori” nei confronti delle altre classi sociali, perché sono loro stessi vittime di complicazioni e perfino di morte, soprattutto i più piccoli, in percentuali non irrilevanti”.

“Recenti studi scientifici hanno valutato l’efficacia della vaccinazione in ambito europeo, in Nord-America e in Australia e hanno messo in luce la resa assolutamente deludente delle campagne vaccinali solo nelle persone in età avanzata – prosegue il dott. Paolo Biasci Vicepresidente Nazionale FIMP -. Anche per questo Stati Uniti e Regno Unito hanno intrapreso strade alternative che puntano su un’offerta allargata. In particolare hanno coinvolto i bambini, al fine di garantire una protezione estesa anche a questa categoria e, nel contempo, di ridurre la circolazione dei virus influenzali, con beneficio per le fasce più deboli”.

“Nel nostro Paese – conclude il dott. Giorgio Conforti referente nazionale delle vaccinazioni FIMP – una volta recepita dalle istituzioni l’indicazione ai bambini sani, in parte contenuta nel calendario per la vita del 2016, la sua applicazione dovrà essere graduale e progressiva. La realizzazione renderà indispensabile il coinvolgimento attivo dei pediatri di famiglia in quanto affidatari del rapporto fiduciario, capillarmente presenti sul territorio nazionale e garanti della continuità delle cure”.

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