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Vittime del Talidomide, solo una settimana per chiedere l’indennizzo

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Negli anni '60 il Talidomide, assunto da donne in gravidanza, ha provocato la morte e le malformazioni di migliaia di neonati

Il decreto Lorenzin ha esteso il range per ottenere il vitalizio, ma per i nati dal 1959 al 1965 la scadenza è il 24 dicembre

Le vittime del Talidomide hanno solo una settimana di tempo, da oggi fino al 24 Dicembre, per chiedere il riconoscimento dell’indennizzo. Il decreto, firmato dal Ministro della Salute Beatrice Lorenzin il 17 ottobre scorso, amplia la platea delle persone che hanno diritto al beneficio economico: se prima era prerogativa dei nati fra il 1959 e il 1965, ora potranno usufruirne anche i nati nel 1958 e nel 1966, e in alcuni casi anche nel periodo precedente e successivo.

La vicenda è tristemente nota: negli anni ’50 l’azienda tedesca Chemie Grünenthal mette in commercio un farmaco da banco con proprietà sedative, ipnotiche e tranquillanti, e anche per questo ampiamente utilizzato dalle donne in gravidanza nella terapia delle nausee mattutine. Pubblicizzato come “il sedativo più sicuro sul mercato”, ebbe grande diffusione in 47 Paesi in tutto il mondo, finché non ci si accorse che provocava gravi malformazioni neonatali: principalmente amelia (assenza degli arti), vari gradi di focomelia (riduzione delle ossa lunghe degli arti) e danni agli organi interni. Bisognerà aspettare il 1961 perché il farmaco venga tolto dal mercato, ma ormai migliaia di bambini – almeno 20mila, e circa 400-450 in Italia – erano nati con quella che sarebbe stata chiamata in seguito sindrome da Talidomide, senza contare i casi di aborto spontaneo e di morte fetale.

Negli Stati Uniti il disastro fu evitato solo grazie alla farmacologa canadese Frances Oldham Kelsey, che lavorava alla Food and Drug Administration e, nutrendo molti dubbi sulla serietà degli studi effettuati, negò l’autorizzazione al farmaco, e per questo fu premiata da Kennedy con il President’s Award for Distinguished Federal Civilian Service, la più alta onorificenza che può essere assegnata a un civile. In Italia il Talidomide fu ritirato nel ’62, ma anche negli anni successivi fu possibile trovarlo nelle farmacie, dove non ci fu alcun sequestro.

Ma come è stato possibile tutto ciò? Studi successivi hanno chiarito che il farmaco ha un effetto teratogeno, ma prima della sua commercializzazione non era mai stato sperimentato su animali in stato di gravidanza. È stata questa vicenda, considerata il più grande disastro farmaceutico nella storia del dopoguerra, a segnare, anni dopo, la nascita della farmacovigilanza, con la creazione di registri e schede nazionali di segnalazione delle reazioni avverse da farmaci: a riconoscerlo è stata la stessa Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA), che recentemente ha bandito un concorso di idee per la creazione di un’opera d’arte sul tema Talidomide (scadenza 29 gennaio 2018).

Ciò nonostante, la storia dei talidomidici italiani è stata completamente dimenticata: la Chemie Grünenthal ha risarcito solo le vittime tedesche, inglesi e scandinave, motivando la decisione con il fatto che in Italia il farmaco fosse commercializzato da altre sette aziende, con una quindicina di nomi diversi. Ciò che poi è stato ottenuto, cinquant’anni dopo, è il frutto di una lunga battaglia combattuta dall’associazione dei talidomidici TAI Onlus, fondata nel marzo 2004.

“Lo Stato si è mosso con colpevole ritardo, e solo grazie a noi. Siamo l’unica associazione che è riuscita a far cambiare le leggi, ma è stato un percorso lungo e difficile. La prima tappa è stato il riconoscimento a livello giuridico della sindrome, nel 2006: prima di quella data non esisteva ufficialmente alcun talidomidico. Eppure, già nel 1972, Emilio Fede girò un reportage per la Rai, che presto proietteremo nel corso di un convegno: tutti i Ministri della Sanità dal dopoguerra al 2006 ne erano al corrente, ma hanno sempre nascosto la polvere sotto il tappeto” ha spiegato a O.Ma.R. – Osservatorio Malattie Rare il presidente onorario di TAI Onlus, Nadia Malavasi..

Solo in quell’anno, infatti, il Ministro della Salute Francesco Storace dispone l’esenzione dal ticket sanitario per le prestazioni correlate alla sindrome, e quella dalle visite di controllo per gli accertamenti delle invalidità permanenti, inutili e umilianti per i talidomidici. Poi, finalmente, la legge n. 244 del 24.12.2007 stabilisce un indennizzo mensile a favore delle persone affette nate dal 1959 al 1965. Per loro, dieci anni dopo la legge 244, e quindi il prossimo 24 dicembre, scadrà il termine per presentare domanda al Ministero.

“Abbiamo già richiesto un incontro al Ministero per chiedere una proroga, perché questa possibilità non è stata minimamente pubblicizzata e tanti talidomidici non ne sono a conoscenza. La nostra associazione TAI Onlus è comunque pronta ad assistere e consigliare tutte le persone che intendono presentare domanda”, prosegue Nadia Malavasi.

Anche le persone nate al di fuori di questo periodo di tempo con malformazioni compatibili con la sindrome, quindi negli anni in cui il talidomide continuava a circolare nonostante fosse stato bandito, avranno la possibilità di richiedere l’indennizzo. “Secondo i nostri avvocati, però, il regolamento attuativo del decreto presenta molte contraddizioni ed è eccessivamente rigido nei criteri per accertare il nesso causale fra l’assunzione del farmaco e la malformazione. Fra l’altro giudichiamo la tabella dei rimborsi discriminante, poiché prevede una differenza minima di indennizzo fra chi è privo sia di braccia che di gambe e chi ha malformazioni molto meno invalidanti”, sottolinea Nadia Malavasi.

Oggi la vita di un talidomidico è molto diversa da quella di cinquant’anni fa: “Quando ero una bambina, mia madre mi insegnò a leggere e a scrivere prima di entrare alle elementari, per convincere la maestra ad accettarmi in una scuola ‘normale’. In quegli anni, infatti, non potevamo frequentare neppure gli asili, per non turbare gli altri bambini”, racconta la presidente. “Oggi la situazione è migliorata, ma resta comunque un divario fra l’Italia e, ad esempio, la Germania o altri Paesi europei, dove i talidomidici ricevono un indennizzo molto maggiore, hanno diritto alle modifiche per le automobili e ai mezzi pubblici gratuiti”.

Dagli anni ’90 il Talidomide è tornato nella pratica clinica, con altri utilizzi e, soprattutto, con ben altra severità nelle sperimentazioni da superare. Ha dimostrato la sua efficacia contro la lebbra, l’AIDS, il morbo di Crohn, il lupus eritematoso sistemico, la sarcoidosi, la malattia di Behçet, e in alcuni tumori come il mieloma multiplo. L’azienda Chemie Grünenthal, nel 2012, ha chiesto perdono alle vittime; ma meglio non chiedere a Nadia Malavasi cosa pensa di queste scuse arrivate dopo cinquant’anni di silenzio.

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