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Molestie, ricatti sessuali e stupri: intervengono gli psicologi

Caso Morisi, la dottoressa Samantha Vitali: "Droga dello stupro allarme sociale. L'aumento della violenza e dei femminicidi è dovuto alla pandemia"

L’Ordine degli Psicologi dell’Emilia-Romagna fa il punto sulla violenza di genere dopo i recenti casi nel mondo dello spettacolo

La violenza di genere è un fenomeno diffuso in tutta Europa

ROMA – Secondo gli ultimi dati ISTAT (http://www.istat.it/it/files/2017/09/Audizione-ISTAT-femminicidio_Allegato-statistico.pdf?title=Femminicidio+e+violenza+di+genere+-+28%2Fset%2F2017+-+Audizione+ISTAT+femminicidio_Allegato+statistico.pdf) il 7,5% delle donne in Italia tra i 15 e i 65 ha subito almeno un ricatto sessuale nel corso della propria vita.

Di queste, l’80,9% non è riuscito a parlarne con nessuno, con conseguenze fisiche, psicologiche e lavorative. Più in generale, un’altra indagine ISTAT (http://www.istat.it/it/archivio/161716) riporta che il 31,5% delle donne tra i 15 e i 70 anni ha subìto almeno una volta nella vita una qualche forma di violenza fisica o sessuale. La violenza di genere provoca sofferenza, fino ai casi di femminicidio e può causare gravissimi danni “dentro” anche quando non porta lesioni fisiche.

L’Ordine degli Psicologi dell’Emilia-Romagna ribadisce che ogni coinvolgimento in attività sessuali imposte è una violenza: un’aggressione che può essere da parte di un estraneo, ma anche all’interno dell’ambiente lavorativo, del rapporto di coppia o della famiglia. La costrizione al rapporto sessuale può realizzarsi con l’uso della forza ma anche con ricatti psicologici e con l’abuso di potere. Ciò che separa un atto sessuale dalla violenza è la volontà della persona, libera da imposizioni, di praticarlo o meno: la differenza sta nella manifestazione della libertà di scelta.

I meccanismi psicologici che inducono un individuo a commettere lo stupro sono generalmente caratterizzati dal desiderio di sopraffazione dell’altro per affermare il proprio potere non solo sessuale, dal bisogno di manifestare la propria dominanza, forza e dalla necessità di vincere la paura di non valere.

L’aggressore infatti può agire per rabbia e frustrazione anche originate da rapporti problematici con donne diverse dalla vittima. La violenza manifestata in questo caso può diventare una sorta di vendetta nei confronti del genere femminile. In altri casi, lo stupro può essere uno strumento per manifestare la propria virilità ed esercitare potere su un’altra persona, per compensare anche sentimenti di vulnerabilità e impotenza. Non ci sono giustificazioni né sociali né psicologiche allo stupro, che è un crimine e come tale va punito.

“Una persona, una donna, che viene aggredita e stuprata – spiega Elisabetta Manfredini, Vicepresidente dell’Ordine Psicologi dell’Emilia Romagna – subisce un’esperienza di disumanizzazione ‘estrema’, sia fisica che psichica. Nell’immediato può avvertire sentimenti ed emozioni sconvolgenti come angoscia di morte, paura di non sopravvivere, di venire uccisa, come purtroppo spesso succede”.

“Il dolore lacerante, non solo fisico, può essere accompagnato dal senso di repulsione per la violenza che può paralizzare anche psicologicamente. La donna si può sentire poi violata, oltraggiata, sporca: una violenza così devastante frantuma il suo senso di identità, ne colpisce il pensiero e la coerenza, le risorse personali, rendendo anche difficile parlarne con qualcuno o denunciare” aggiunge.

“La vittima di stupro, danneggiata gravemente nella sua integrità personale, necessita sempre di un intervento psicologico mirato che l’accompagni se possibile per tutto il percorso di cura, che inizia dalla rivelazione/denuncia e termina con il recupero della propria soggettività” afferma ancora.

“La prevenzione allo stupro – aggiunge Anna Ancona, Presidente dell’Ordine Psicologi dell’Emilia Romagna – si può effettuare solo affrontando il tema della sessualità consapevole e consensuale. Incontri o conferenze sull’argomento non sono sufficienti: è assolutamente indispensabile lavorare con percorsi formativi specifici sin da giovanissimi”.

“È necessario trasformare le condizioni e soprattutto la cultura responsabile di questi fenomeni, sensibilizzando le persone, sin da bambini, alla comprensione della sofferenza altrui e al rispetto della possibilità di autodeterminazione di ogni individuo – prosegue -. Sensibilizzare significa non solo riconoscere il dolore insito in uno specifico caso di violenza, ma anche insegnare a riconoscere e comprendere quegli aspetti ‘accessori’ presenti nel fenomeno della violenza, quegli elementi che non sono nemmeno necessariamente reati, ma fanno parte di un certo tipo di cultura”.

“Bisogna, dunque, non solo intervenire là dove il disagio si è già manifestato, ma anche prevenire precocemente negli ambiti di aggregazione sociale, quali le scuole, le società sportive, le associazioni giovanili per costruire nuovi modi di pensare e nuove sensibilità” conclude.

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