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Dall’inizio della crisi un milione e mezzo di disoccupati in più

Articolo 18: per la Consulta la riforma Fornero è incostituzionale per il carattere facoltativo del rimedio della reintegrazione per i soli licenziamenti economici

Negli ultimi mesi del 2017 la CGIA stima 123mila nuovi posti di lavoro ma il confronto con i livelli pre crisi è impietoso

E’ ancora lunga la strada per tornare alle percentuali di disoccupati del 2007

VENEZIA – Nell’ultima parte dell’anno potremo contare su 123mila nuovi occupati e 36mila disoccupati in meno. È quanto prevedono i dati Istat e Prometeia elaborati dall’Ufficio studi della CGIA. Nonostante le previsioni siano positive, nel confronto con il secondo semestre del 2016, il gap, rispetto al 2007 (anno pre-crisi), rimane ancora molto importante.

Rispetto a 10 anni fa, infatti, lo stock medio degli occupati nel secondo semestre di quest’anno sarà inferiore di 142.000 unità mentre i disoccupati saranno 1.447.000 in più. Se, ad esempio, nel 2007 il tasso di disoccupazione era al 6,1%, quest’anno si attesterà all’11,4%: una quota quasi doppia al dato pre-crisi.

Trainata da una congiuntura internazionale favorevole, la ripresa economica in atto comincia a dare qualche segnale positivo anche sul fronte del mercato del lavoro, benché all’orizzonte si addensano delle nubi minacciose.

“Se dal prossimo 1° gennaio terminerà la politica monetaria espansiva – esordisce il coordinatore dell’Ufficio studi della CGIA, Paolo Zabeo – cioè il Quantitative Easing introdotto dalla Bce in questi ultimi anni, molto probabilmente assisteremo a un progressivo aumento dei tassi di interesse che innalzerà il costo del nostro debito pubblico, mentre gli investimenti saranno meno convenienti”.

“Per un Paese come il nostro che ha uno dei debiti pubblici in rapporto al Pil tra i più elevati al mondo – afferma il Segretario della CGIA Renato Mason – lo scenario prossimo futuro rischia di risultare, in termini di principali indicatori economici, ancora troppo lontano rispetto all’apice economico di 10 anni orsono.”

Dalla CGIA, infatti, ricordano che rispetto al 2007 dobbiamo recuperare un differenziale di 3,4 punti percentuali di consumi delle famiglie, di 5,9 punti di Pil, di 7,3 punti di reddito disponibile delle famiglie e di 24,8 punti di investimenti (pubblici e privati) e il tasso di disoccupazione, come ricordavamo più sopra, è quasi doppio.

Nonostante nell’ultima parte dell’anno il mercato del lavoro darà luogo ad alcuni effetti positivi, dalla CGIA ricordano che a giugno 2017 erano circa 145 i tavoli di crisi aperti presso il Ministero dell’Economia e dello Sviluppo Economico: 26 interessavano l’industria pesante, 14 il settore delle telecomunicazioni/software, 11 la componentistica elettrica/elettronica e altrettanti nel tessile-abbigliamento-calzature e arredo. A livello regionale, invece, gli stabilimenti (non le aziende) in stato di crisi erano 37 in Lombardia, 29 nel Lazio e sia in Campania che in Veneto 24. Dei 145 tavoli, 9 riguardano aziende presenti sull’intero territorio nazionale.

“Senza contare – prosegue Zabeo – le migliaia di piccolissime imprese e di artigiani che sempre più a corto di liquidità, a causa della stretta creditizia praticata dalle banche e dai ritardati pagamenti decisi dai committenti, rischiano, nel silenzio più totale, di chiudere definitivamente i battenti”.

E in merito all’ipotesi avanzata dal Governo di introdurre un nuovo provvedimento che dal 2018 agevoli l’assunzione dei giovani attraverso una forte decontribuzione previdenziale, la CGIA ricorda che negli ultimi anni il cuneo fiscale è stato “tagliato” in misura strutturale di 13,3 miliardi di euro l’anno (di cui 8,9 attraverso il bonus Renzi e di altri 4,3 miliardi con l’eliminazione dell’Irap dal costo del lavoro per i dipendenti assunti con un contratto a tempo indeterminato). Oltre a ciò, il cuneo è stato ulteriormente alleggerito in via temporanea di altri 15 miliardi di euro grazie agli sgravi contributivi a carico delle aziende che hanno dato luogo ad assunzioni a tempo indeterminato nel 2015 e nel 2016.

“Forse – conclude Zabeo – sarebbe più opportuno intervenire tagliando l’Irpef. I posti di lavoro si creano se riparte l’economia, se con più soldi in tasca le famiglie tornano a sostenere la domanda interna e non attraverso misure artificiose. Intervenendo sull’imposta sui redditi delle persone fisiche, inoltre, ne trarrebbero vantaggio anche i pensionati e i lavoratori autonomi che, purtroppo, in questi ultimi anni non hanno beneficiato di alcun vantaggio fiscale”.

Il Codacons: “Ora basta con i toni trionfalistici”

“Non basta qualche dato economico favorevole per dichiarare concluso il periodo di crisi economica, quando ancora troppi indicatori segnalano le differenze rispetto al 2007”. E’ il commento del Codacons sui i dati diffusi dalla Cgia che “certificano un’evidenza che in troppi si affrettano a nascondere”.

“Nonostante l’indicatore del PIL sia incoraggiante, e buone notizie arrivino anche sul fronte dell’occupazione, è del tutto improbabile affermare che l’Italia abbia recuperato il terreno perduto in un decennio di crisi economica” afferma l’associazione.

“Qualche esempio: se nel 2007 il tasso di disoccupazione era al 6,1 per cento, quest’anno si attesterà all’11,4 per cento: una quota quasi doppia al dato pre crisi. E ancora, stando ai dati Cgia, sempre rispetto al 2007 bisogna ancora recuperare un differenziale di 3,4 punti percentuali di consumi delle famiglie: elemento importantissimo, ai fini di una definitiva ripresa dell’economia” aggiunge il Codacons.

“Affermare che l’Italia è tornata ai livelli pre crisi è un vero e proprio no-sense – dichiara il Presidente Carlo Rienzi -. Basta guardare i consumi: se le famiglie non comprano, le imprese non vendono. Invece di annunciare la ripresa, sarebbe meglio intervenire per favorirla, mettendo in condizione le famiglie di spendere di più”.

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