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Le banche in crisi chiudono i rubinetti: imprese a corto di liquidità

Conto corrente scoperto: anche con pochi euro si diventa "cattivi pagatori" in base alle nuove regole europee, stop ad addebiti automatici

Indagine della CGIA di Mestre: la regione più colpita dalla stretta al credito è il Veneto

Le sofferenze delle banche ammontano a 186,7 miliardi di euro lordi: anche i prestiti ne risentono

VENEZIA – La crisi della Popolare di Vicenza, di Veneto Banca, del Monte dei Paschi e di alcune banche di Credito Cooperativo locali ha innescato una stretta sul credito senza precedenti: -10,7% contro una media nazionale del -6,8%. In questi ultimi 3 anni di grave crisi del nostro sistema creditizio, com’era prevedibile, la contrazione degli impieghi bancari alle imprese italiane ha continuato ad aumentare fino ad arrivare a -62,4 miliardi di euro.

Ad eccezione del Molise, statisticamente poco significativa visto che presenta 310.500 abitanti e un numero di imprese attive di poco inferiore alle 31.100 unità, la regione più “colpita” è stata il Veneto. In termini assoluti, alle aziende venete sono stati “tagliati” 10,8 miliardi di prestiti (pari al 17,3% del dato nazionale): solo la Lombardia ha registrato una diminuzione in valore assoluto superiore (-15,9 miliardi di euro), anche se va ricordato che in quest’ultima realtà territoriale è ubicato un numero di imprese attive pari al doppio di quello presente in Veneto.

Secondo Paolo Zabeo, coordinatore dell’Ufficio studi della CGIA di Mestre (che ha realizzato questa indagine), “sebbene in questi ultimi 3 anni i rubinetti del credito siano stati progressivamente chiusi il sistema economico veneto ha comunque tenuto”.

“Anzi, il manifatturiero e anche le costruzioni sono tornate a crescere, rimaniamo la prima regione turistica d’Italia, l’export vola, la disoccupazione, scesa sotto il 7%, è tra le più basse d’Italia e nel 2016 abbiamo registrato un avanzo commerciale record pari a 16,5 miliardi di euro” aggiunge. “Senza la crisi delle due banche popolari, ovviamente, le cose sarebbero andate ancora meglio, soprattutto per le piccole e piccolissime imprese che, tradizionalmente a corto di liquidità e poco capitalizzate, sono state le più colpite da questa stretta creditizia e, conseguentemente, le meno coinvolte dalla ripresa in atto” spiega ancora Zabeo.

Una situazione altrettanto difficile si è registrata nelle Marche: la diminuzione è stata del 10,4%(pari a -2,7 miliardi di euro), in Calabria, dove la riduzione dei prestiti è stata del 9,7% (-857 milioni di euro) e in Emilia Romagna che ha segnato una variazione percentuale del -9,1% (pari a 9,2 miliardi di euro).

Per gli artigiani di Mestre una delle ragioni del credit crunch in atto è riconducibile al forte aumento delle sofferenze bancarie registrato in questi anni. Sempre tra l’Aprile del 2014 e lo stesso mese di quest’anno, le sofferenze in capo alle imprese (calcolate come differenza tra impieghi e impieghi vivi) sono aumentate di 28,8 miliardi di euro, arrivando a toccare i 160,9 miliardi di euro (aprile 2017).

Osservando i dati relativi all’incidenza percentuale delle sofferenze sul totale impieghi ale imprese, la situazione più difficile si registra in Calabria (32,1%), nel Molise (31,4%), in Sardegna (29,9 %) e in Sicilia (28,7%). La regione più virtuosa, invece, è il Trentino Alto Adige: l’incidenza è solo del 9,6%. Il dato medio Italia, infine, è pari al 18,8%.

“Accogliamo con grande soddisfazione l’istituzione della Commissione parlamentare di inchiesta, che – sottolinea il Segretario della CGIA, Renato Mason – avevamo chiesto sin dall’inizio del 2016. Peccato che i mesi di lavoro da qui alla fine della legislatura saranno insufficienti per chiarire quanto accaduto in questi ultimi anni”.

“Tuttavia, la fiducia nei confronti delle banche salvate con il contributo dei soldi pubblici si riconquista anche attraverso la pubblicazione dei nomi, degli importi non ancora restituiti e della quantità di aiuti che questi istituti si sono fatti carico sino ad ora per le ristrutturazioni di queste aziende insolventi” prosegue.

“È importante che chi ha contribuito a dissestare i bilanci di molti istituti bancari sia messo nelle condizioni di non partecipare più alla vita civile di questo Paese. Nel caso tutto questo non fosse possibile per una questione di privacy, auspichiamo che la Commissione parlamentare di inchiesta o una legge ad hoc consenta ai soci delle banche in difficoltà che hanno visto svanire i propri risparmi di visionare, comunque, questi dati” conclude.

Da Taranto a Biella: le città in controtendenza

A livello provinciale, le imprese più penalizzate dalla contrazione degli impieghi bancari sono state quelle residenti a Isernia (-19,5%), a Mantova (-19%), a Ferrara (-17,8%), a Rieti (-17,4%) a Rimini (-17,3%) e a Belluno (-14,4%). Tra le meno interessate da questo fenomeno: Cagliari (-1,2%), Parma e Vercelli (entrambe con -1,1%), Barletta (-1%) e Napoli (-0,6%). Con variazione nulla, invece, i risultati emersi a Massa Carrara e a Salerno, mentre hanno visto aumentare la disponibilità di liquidità le imprese ubicate nelle province di Taranto (+0,9%), di Caserta (+1,2%), di Trieste (+1,6%), di Trento (+2,1%), di Fermo (+3,2%), di Benevento (+3,8%), di Firenze (+4,1%) e di Biella (+11,4%).

Infine, anche nella lettura dei dati relativi alle incidenze percentuali delle sofferenze sugli impieghi delle imprese svetta la provincia di Isernia (39,4%). Al secondo posto si posiziona Reggio Calabria (38,7%) e al terzo Carbonia-Iglesias (38,3%). Le realtà territori meno a rischio, invece, sono Trieste (9,9%), Sondrio (8,9%) e Bolzano (5%).

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