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Amiloidosi ereditaria: due nuovi farmaci per evitare il trapianto di fegato

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I risultati dei trial clinici sono attesi entro la fine del 2017. Intanto per i 356 pazienti italiani c’è l’associazione fAMY Onlus

I due farmaci agiscono in modo differente sull’RNA messaggero della transtiretina, riducendo la proteina mutata circolante fino all’80-90%

ROMA – Immaginate, per assurdo, di mangiare un piatto di plastica. Probabilmente riuscireste a non sentirvi male e ad eliminarlo come se fosse commestibile. Ma se ripetete lo stesso gesto tutti i giorni, la plastica si accumulerà nel vostro corpo, con gravi conseguenze facili da immaginare.

Accade più o meno lo stesso in una malattia rara e invalidante chiamata amiloidosi, in cui ad accumularsi è una sostanza proteica insolubile, nota, appunto, come amiloide. In Italia ci sono 356 casi di persone affette dalla forma ereditaria di questa patologia, che può coinvolgere qualsiasi organo, distruggendolo e portando alla dialisi o al trapianto.

Fortunatamente, per questo grande gruppo di malattie esistono nuove opzioni terapeutiche: un farmaco, il Tafamidis, è già in commercio dal 2011, e due nuove molecole, il Patisiran (di Alnylam) e il TTRRX (di IONIS) sono oggi oggetto di due trial clinici.

“I due farmaci agiscono in modo differente sull’RNA messaggero della transtiretina, riducendo la proteina mutata circolante fino all’80-90%”, spiega il prof. Giuseppe Vita, responsabile dell’Unità Operativa Complessa di Neurologia e Malattie Neuromuscolari del Policlinico “G. Martino” di Messina.

“Questi due studi internazionali, ai quali hanno preso parte anche alcuni centri italiani fra cui il nostro di Messina, sembrano molto promettenti: stanno per concludersi, ed entro l’anno in corso sapremo i risultati. È molto verosimile che questi farmaci potranno sostituire il trapianto di fegato, affiancando il Tafamidis”.

Uno dei maggiori ostacoli nella cura dell’amiloidosi risiede principalmente nella difficoltà della diagnosi, a causa dei sintomi aspecifici, molto diversi a seconda della forma della malattia.

“Nelle patologie da accumulo il tempo è vita”, afferma il prof. Giampaolo Merlini, del Centro per lo Studio e la Cura delle Amiloidosi Sistemiche presso la Fondazione IRCCS – Policlinico San Matteo di Pavia.

“Questo gruppo di malattie presenta un quadro clinico molto diverso: dispnea per sforzi modesti, gonfiore alle gambe, perdita di peso; tutti sintomi comuni a quelli di molte patologie dell’anziano. Le amiloidosi sistemiche sono malattie per certi versi simili all’Alzheimer che è localizzata nel cervello, ma interessano organi vitali come il cuore, i reni, il fegato, l’apparato gastrointestinale, il sistema nervoso periferico, la cute e gli occhi” aggiunge.

Il cuore, in particolare, rappresenta uno degli organi bersaglio in cui più frequentemente l’amiloide si deposita, dando luogo alla cosiddetta ‘amiloidosi cardiaca’. Uno dei maggiori esperti di questa forma è il prof. Claudio Rapezzi, direttore dell’U.O. di Cardiologia del Policlinico S. Orsola-Malpighi di Bologna. “Le forme di amiloidosi che più frequentemente coinvolgono il cuore in maniera significativa sono l’amiloidosi AL e l’amiloidosi da transtiretina (amiloidosi ATTR). In questa condizione, quanto più i depositi progrediscono, tanto più le pareti del cuore diventano spesse e rigide e la funzione contrattile peggiora”, sottolinea Rapezzi. “A parte il tessuto miocardico, l’infiltrazione può coinvolgere anche gli apparati valvolari e il sistema di conduzione elettrico”.

Per i pazienti affetti da amiloidosi è attiva dal 2013 l’associazione nazionale fAMY, diventata Onlus nel gennaio 2016. Con circa quaranta iscritti e cinque persone nel consiglio direttivo, fAMY ha fra i suoi clinici di riferimento proprio i professori Rapezzi e Merlini. “La ricerca è fondamentale, ma ci sono altri aspetti rilevanti, come quello psicologico”, fa notare il presidente di fAMY, Andrea Vaccari.

“I pazienti non possono pianificare la propria vita, la vivono giorno per giorno. Inoltre, nel caso di pazienti con figli, pesa molto la consapevolezza di aver trasmesso loro la malattia. Per questi motivi i pazienti hanno necessità di un supporto psicologico e di consigli sulla procreazione. Infine, sarebbero utili dei trial clinici da effettuarsi prima che si manifesti la malattia” conclude.

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