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La Pa continua a non pagare i fornitori: debiti per 46 miliardi

La provocazione della CGIA di Mestre: sebbene non comparabili, l’evasione fiscale e contributiva è poco più della metà degli sprechi e delle inefficienze della PA

La stima emerge da un’elaborazione della CGIA di Mestre sui dati di finanza pubblica del Def 217

Pubblica amministrazione lumaca per i pagamenti

VENEZIA – Tra gli acquisti di beni e servizi e gli investimenti fissi lordi, nel 2016 la Pubblica amministrazione (Pa) italiana ha fatturato ai propri fornitori e alle imprese appaltatrici 160 miliardi di euro.

In totale assenza di dati ufficiali, gli artigiani mestrini stimano che di quest’ultimo importo, una “fetta” che oscilla tra un valore minimo di 32 fino a un massimo di 46 miliardi non sono stati saldati a causa dei ritardi dei pagamenti e delle prassi inique praticate dai committenti pubblici ai propri fornitori.

È quanto emerge da un’elaborazione realizzata dall’Ufficio studi della CGIA, che ha preso in esame i dati di finanza pubblica del Documento Economia Finanza 2017 – Conto consolidato di cassa.

Come è stato calcolato questo importo?

Suddividendo in via puramente teorica i 160 miliardi di euro nell’arco dell’anno e “pesandoli” su 12 mensilità nel caso delle Pa che pagano a 30 giorni e in 6 mensilità per quelle che invece saldano a 60 giorni (come la sanità), si ottiene la cifra di 19 miliardi di debiti fisiologici che non vengono onorati nell’arco dell’anno perché non sono ancora scaduti i termini di pagamento previsti dalla legge. In realtà, lo stock da onorare è molto superiore.

Secondo l’Istat l’importo – riferito solo ai debiti di parte corrente che l’istituto ha notificato alla Commissione europea per l’anno 2016 – è di 51 miliardi di euro; la Banca d’Italia, invece, stima un importo pari a 65 miliardi di euro (anno 2015). Di conseguenza, l’ammontare dei debiti per i ritardi di pagamento che la Pa dovrebbe saldare oscilla, secondo la stima della CGIA, tra un valore minimo di 32 miliardi (dato dalla differenza tra 51 e 19) e un valore massimo di 46 miliardi (importo risultante dalla differenza tra 65 e 19).

Zabeo: “Dimensione dei debiti surreale”

“I debiti della Pa hanno ormai assunto una dimensione surreale” segnala il coordinatore dell’Ufficio studi, Paolo Zabeo . “Da due anni, infatti, le imprese che lavorano per l’Amministrazione pubblica hanno l’obbligo di emettere la fattura elettronica, altrimenti non possono essere liquidate. Nella fase di ingresso, questo documento informatico transita in una piattaforma controllata dal Ministero dell’Economia e delle Finanze che lo smista all’ente o alla struttura pubblica a cui è indirizzata che, a sua volta, verifica se il pagamento è certo, liquido ed esigibile. Una volta che il destinatario della fattura dà l’ok, il saldo dovrebbe transitare per la piattaforma, consentendo al dicastero dell’economia di monitorare in tempo reale i tempi di pagamento e l’ammontare delle uscite”.

“Dopo 2 anni, invece, lo Stato non conosce ancora a quanto ammonta complessivamente il debito contratto con i propri fornitori, per il semplice fatto che una buona parte dei committenti pubblici, in particolar modo quelli periferici, effettuano i pagamenti senza transitare per la piattaforma e con scadenze ben oltre quelle stabilite per legge. Una vicenda che ha dell’incredibile” aggiunge.

Perché la Pa non paga?

Secondo la CGIA le principali cause che hanno dato origine a questo malcostume tutto italiano sono le seguenti:

A queste ragioni ne vanno aggiunte almeno altre due che, tra le altre cose, hanno indotto la Commissione europea a far scattare l’avvio della procedura di infrazione nei confronti del nostro Paese.

Con lo split payment la situazione è peggiorata

Dall’inizio del 2015 ha fatto il suo “debutto” lo split payment. Questa novità obbliga le amministrazioni centrali dello Stato (e dal prossimo 1° Luglio anche le aziende pubbliche controllate dallo stesso) a trattenere l’Iva delle fatture ricevute e a versarla direttamente all’erario.

L’obiettivo di questa misura è stato quello di contrastare l’evasione fiscale, ovvero, evitare che una volta incassata dal committente pubblico, l’azienda fornitrice non la versi al fisco.

Il meccanismo, sicuramente efficace nell’impedire che l’imprenditore disonesto non versi l’Iva all’erario, ha però provocato molti problemi finanziari a tutti coloro che con l’evasione, invece, nulla hanno a che fare. Vale a dire la quasi totalità delle imprese.

Mason: “Oltre al danno anche la beffa”

“La nostra Pa non solo paga con un ritardo che non ha eguali nel resto d’Europa e quando lo fa non versa più l’Iva al proprio fornitore. Insomma, oltre al danno anche la beffa” afferma il segretario della CGIA, Renato Mason.

“Pertanto, le imprese che lavorano per lo Stato, oltre a subire tempi di pagamento spesso irragionevoli, scontano anche il mancato incasso dell’Iva che, pur rappresentando una partita di giro, consentiva alle imprese di avere maggiore liquidità per fronteggiare i pagamenti di ogni giorno. Questa situazione, associandosi alla contrazione degli impieghi bancari nei confronti delle imprese in atto dal 2011, ha peggiorato la tenuta finanziaria di moltissime aziende, soprattutto quelle di piccola dimensione” aggiunge.

Continua a scendere il credito alle imprese

Sebbene la domanda di credito sia in aumento e attraverso il Quantitative easing la Bce abbia acquistato più di 255 miliardi di euro di titoli di stato italiani (dati compresi tra il 9 Marzo 2015 e il 30 Aprile 2017), tra Marzo 2017 e lo stesso mese dell’anno scorso gli impieghi bancari alle imprese (società non finanziarie e famiglie produttrici) sono scesi dell’1,5% (pari a una contrazione di 13,4 miliardi di euro).

Se a ciò si aggiunge la difficoltà a rispettare i tempi di pagamento da parte dello Stato e gli effetti dello split payment, una buona parte delle circa 900.000 imprese che lavorano per la Pa sta vivendo momenti difficili. E per far fronte alla mancanza di liquidità le contromisure assunte da queste ultime sono le seguenti:

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