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Otto falsi miti sul pesce da sfatare grazie a ricercatori e dietisti

Acidi grassi omega-3 marini possibile opzione di terapia add-on nel disturbo borderline della personalità secondo un nuovo studio

A Slow Fish 2017 dal 18 al 21 maggio al Porto Antico di Genova un po’ di chiarezza su quanto finisce in tavolaLa Commissione europea lancia la campagna social Il mare in bocca per incoraggiare il consumo di pesce e frutti di mare catturati o prodotti in modo sostenibile

GENOVA – In questi giorni non si direbbe, ma la primavera è arrivata e, puntuali come ogni anno, arrivano le prime gite al mare, la voglia di consumare cibi freschi e leggeri, e i primi languorini al solo pensiero di mangiare un piatto a base di pesce.

Il rischio è che tutto questo entusiasmo sia supportato da informazioni non troppo corrette, a volte fuorvianti, o addirittura pericolose soprattutto quando in gioco c’è la sicurezza alimentare.

Alcune precauzioni da adottare:

1- Il sushi più buono con il pesce più fresco. Quante volte lo abbiamo letto nelle ammiccanti pubblicità dei ristoranti? Con il crudo però non si scherza e quindi godiamoci sushi, sashimi, tartare, carpaccio e marinato, ma teniamo a mente qualche piccolo accorgimento. Se lo consumiamo al ristorante il pesce deve essere abbattuto come prevede la legge, cioè surgelato in un abbattitore che lo porta velocemente a una temperatura di -18 gradi.

2 – Il salmone è il re di tutte le diete (anche ipocaloriche). Lo sanno tutti quelli che almeno una volta nella vita si sono confrontati con i pasti in grammi, e anche i loro commensali: il salmone è il pesce più consigliato nelle diete, anche quelle ipocaloriche. Eppure ci sono tanti motivi per non mangiare salmone. Parliamo di quelli da allevamento, perché di esemplari selvaggi ne esistono sempre meno, tant’è che noi di Slow Food abbiamo avviato un Presidio a tutela della specie sockeye del fiume Okanagan, in Canada.

3 – Il pesce bistecca è più caro, quindi è di maggior qualità In realtà è solo più comodo perché non ha spine e si cucina, e consuma, appunto, come se fosse una fetta di carne. Parliamo del pesce spada e del tonno, ad esempio, specie dal ciclo vitale lungo più di una stagione, che attraversano diversi mari prima di essere catturati e che ci trasmettono tutto il loro carico di contaminanti e metalli pesanti.

4 – Preferisco il pesce fresco perché sono sicuro sia locale. Sarebbe bello questo sillogismo fosse vero, in realtà non è per niente così e basta dare un’occhiata a un qualsiasi banco del pesce per averne conferma: nel nostro Paese ogni giorno viene sbarcato pesce fresco proveniente da 40 Paesi, e molti di questi si affacciano sul Pacifico o sull’Atlantico. In questo caso a venirci incontro è l’etichetta, che deve contenere obbligatoriamente: –     Denominazione commerciale della specie: es. “orata”, mentre il nome scientifico nel commercio al dettaglio non è obbligatorio in etichetta ma può essere esposto in un cartello unico; –     Metodo di produzione: “pescato”, “pescato in acque dolci”, “allevato”; –     Zona di cattura: deve essere indicato in maniera comprensibile per il consumatore il mare in cui è stato catturato, le famose zone di cattura Fao (es. “Area 47: Atlantico, Sudest”, o lo Stato di origine se si tratta di pesce allevato; –     Stato fisico: decongelato, scongelato –     Presenza di additivi: ad esempio “contiene solfiti” per i crostacei legalmente additivati con solfiti.

5 – Non esiste una stagionalità dei pesci. In realtà esiste una stagionalità anche per i pesci, se si rispettano i tempi di riproduzione (e quindi il fermo pesca) e se si sceglie di acquistare specie provenienti dai mari a noi più vicini: le zone di cattura Fao dell’Atlantico nord-orientale (Area 27) e del Mediterraneo – Mar Nero (Area 37 )

6 – Le sogliole sono tutte uguali anche se hanno prezzi diversi. E che dire di stoccafisso e baccalà? E dei polpi? A volte la variazione può essere anche di diversi euro, una forbice spesso eccessiva, non giustificata dal taglio del filetto o dalle dimensioni dell’esemplare. E quindi cosa c’è sotto? Purtroppo il fenomeno è sempre più diffuso a causa dell’eccessivo sfruttamento dei pesci più pregiati, e si chiama sostituzione di specie.

7 – Vongole e cozze sono inquinate. Sono invece le specie allevate da privilegiaRe per gusto, facilità di preparazione e proprietà nutrizionali; perché scegliendole non andiamo a stressare sempre i soliti cinque pesci pescati che consumiamo e perché la mitilicoltura è la forma di allevamento più sostenibile. Largo quindi a cozze, vongole e ostriche, che si nutrono dei microrganismi presenti nell’acqua, filtrandola, e non necessitano quindi di mangimi.

8 Mangiare più pesce fa bene alla salute. Nutrizionisti e dietologi, ma anche presentatori e chef-star, consigliano di consumare più pesce per il contenuto di omega-3 e per le sue carni pregiate. Ma sappiamo tutti che gli stock della maggior parte dei pesci che consumiamo abitualmente sono ormai al collasso. Forse allora dovremmo ripensare i nostri consumi di pesce per rendere la dieta mediterranea più sostenibile. Come? Valorizzando le fonti alternative di omega-3 (come i semi ad esempio), i pesci stagionali e a ciclo vitale breve, poco conosciuti e meno costosi, per i quali il prezzo non corrisponde di certo al valore nutrizionale. E poi ci sono i “non pesci”, le alternative che il mare ci offre per esaltare il piacere e mantenerci in salute, senza intaccare gli ecosistemi acquatici: meduse e alghe, molluschi e crostacei. Perché no?

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