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Il Consiglio dei Ministri approva il Def, la Cgia: “Rimane l’incognita legata all’Iva”

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Oggi il Consiglio dei Ministri ha approvato il Documento di economia e finanza (Def) 2017

Il commento degli artigiani di Mestre e di Confcommercio sul Documento di Economia e Finanza 2017

Il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan

VENEZIA – Oggi il Consiglio dei Ministri ha approvato il Documento di economia e finanza (Def) 2017, previsto dalla legge di contabilità e finanza pubblica n. 196 del 2009. Il Def si compone di tre sezioni: Programma di Stabilità dell’Italia; Analisi e tendenze di finanza pubblica; Programma Nazionale di Riforma (PNR).

Il Def ora sarà trasmesso alle Camere che dovranno esprimersi sugli obiettivi programmatici, sulle strategie di politica economica e sul programma di riforme. Dopo il passaggio parlamentare ed entro il 30 Aprile il Programma di Stabilità e il Programma Nazionale di Riforma saranno inviati al Consiglio dell’Unione europea e alla Commissione europea.

Per il 2017 è confermata la previsione di crescita dell’1,1% grazie ai risultati attesi dalle riforme avviate negli anni precedenti. Come spiega inoltre una nota di Palazzo Chigi “l’obiettivo prioritario del Governo – e della politica di bilancio delineata nel Def – resta quello di innalzare stabilmente la crescita e l’occupazione, nel rispetto della sostenibilità delle finanze pubbliche”.

“È intenzione del Governo continuare nel solco delle politiche economiche adottate sin dal 2014, volte a liberare le risorse del Paese dal peso eccessivo dell’imposizione fiscale e a rilanciare al tempo stesso gli investimenti e l’occupazione, nel rispetto delle esigenze di consolidamento di bilancio” prosegue la nota dell’Esecutivo.

“In merito alle clausole di salvaguardia, tuttora previste per il 2018 e il 2019, il Governo intende sostituirle con misure sul lato della spesa e delle entrate, comprensive di ulteriori interventi di contrasto all’evasione. Tale obiettivo sarà perseguito nella Legge di Bilancio per il 2018. In prospettiva, il Governo avrà un ruolo attivo insieme ad altri partner europei sull’evoluzione delle regole di governance economica comune, in vista di un percorso di aggiustamento compatibile con l’esigenza di sostenere la crescita e l’occupazione” si legge ancora.

La Cgia: “Il Governo non sarà in grado di recuperare 19,5 miliardi con la legge di Stabilità”

In attesa di poter analizzare il testo ufficiale del Def, dalle indiscrezioni emerse fino a ora, secondo la Cgia di Mestre non è chiaro come il Governo affronterà la clausola di salvaguardia che dovrà essere sterilizzata entro la fine di quest’anno. Ovvero, come verranno recuperati i 19,5 miliardi di euro necessari per scongiurare l’aumento dall’ 1 Gennaio 2018 dell’Iva e un incremento delle accise sul carburante?

A chiederselo è il coordinatore dell’Ufficio studi degli artigiani di Mestre, Paolo Zabeo, che aggiunge: “Vista la situazione dei nostri conti pubblici è molto probabile che il Governo non sarà in grado di recuperare con la legge di Stabilità tutti i 19,5 miliardi necessari per evitare che, dal 2018, l’aliquota Iva del 10 passi al 13 e quella del 22 al 25%”.

“Ricordo che un aumento di un punto dell’aliquota ridotta costa agli italiani poco più di 2 miliardi e quella ordinaria 4. Pertanto, non è da escludere che dei 19,5 miliardi l’esecutivo sia in grado di sterilizzarne solo una parte, almeno 14-15. E visto che la spesa corrente al netto degli interessi sul debito è destinata ad aumentare ancora, la quota rimanente dovrà essere recuperata con nuove entrate, con il ritocco, ad esempio, di un punto di entrambe le aliquote Iva” prosegue Zabeo.

Per il segretario della Cgia, Renato Mason “di fronte a una crescita economica ancora molto timida e incerta, l’eventuale aumento dell’Iva condizionerebbe negativamente i consumi interni e conseguentemente tutta l’economia, penalizzando in particolar modo le famiglie meno abbienti che sono concentrate prevalentemente al Sud”.

In termini assoluti sarebbero i percettori di redditi più elevati, visto che a una maggiore disponibilità economica si accompagna una più elevata capacità di spesa. La misurazione più corretta, tuttavia, si ottiene calcolando l’incidenza percentuale dell’aumento dell’Iva sulla retribuzione netta di un capo famiglia. Adottando questa metodologia, l’aggravio più pesante interesserebbe i percettori di redditi bassi e, a parità di reddito, le famiglie più numerose.

“Oltre alle famiglie più povere – conclude Mason – a essere penalizzate dall’eventuale aumento dell’Iva sarebbero anche gli artigiani, i commercianti e tutto il popolo delle partite Iva. Queste realtà, infatti, vivono quasi esclusivamente di domanda interna. Con un’Iva più pesante, quasi certamente i consumi subirebbero una contrazione importante, danneggiando queste attività economiche che non hanno ancora superato la fase critica di questa crisi”.

Confcommercio: “Misure che generano fiducia”

“Bene aver archiviato l’aumento delle aliquote Iva previsto per il 2018 perché questo provvedimento avrebbe ulteriormente rallentato l’economia e affossato definitivamente i timidi e alterni segnali di ripresa dei consumi”. È il il commento, ad una prima lettura, di Confcommercio all’approvazione del Def e della manovrina da parte del Consiglio dei Ministri.

“L’azione del Governo, certo, poteva essere più coraggiosa nel taglio della spesa pubblica improduttiva, che ancora presenta ampi margini di riduzione, per liberare le risorse necessarie a ridurre le aliquote Irpef” aggiunge Confcommercio che “auspica, naturalmente, che nei dettagli del Def non vi siano variazioni sostanziali rispetto all’impianto approvato”.

CNA: “Bene l’impegno a ridurre le tasse, male l’allargamento dello split payment”

In una nota la CNA “apprezza la struttura del Def, così come anticipata nel comunicato stampa della presidenza del Consiglio. In particolare, condivide l’impegno di proseguire il piano di riduzione della pressione fiscale e di rilanciare gli investimenti e l’occupazione”.

“Nella giusta direzione va sicuramente anche il blocco agli aumenti programmati dell’Iva e l’intenzione di reperire le risorse finanziarie necessarie dalla razionalizzazione della spesa pubblica e dalla lotta all’evasione” prosegue la nota.

Con la stessa franchezza, la CNA boccia la decisione di estendere il meccanismo dello split payment anche alle prestazioni nei confronti delle società partecipate dirette e indirette, “contrariamente a quanto sollecitato dalla nostra Confederazione”.

“Questo provvedimento è destinato a creare enormi problemi finanziari a numerosissimi artigiani, micro e piccole imprese, per i quali il rischio di chiusura diventa reale dal momento che il Def imporrà l’obbligo del visto di conformità a partire dai 5mila euro di crediti, una prestazione da chiedere ai professionisti che incide fino a un quinto dell’importo” spiega la CNA.

L’idrovora fiscale denominata split payment già sottrae alle imprese mediamente oltre nove miliardi l’anno. Con oneri finanziari quantificati dalla CNA in circa 325 milioni l’anno a carico di quanti sono costretti a rivolgersi alle banche per coprire il danno, ammesso che le banche decidano di erogare prestiti per garantire liquidità.

“Una fattura da capogiro a carico delle imprese che l’ampliamento del perimetro dello split payment farà lievitare in modo sensibile. Una operazione meramente finanziaria che non inciderà sulla lotta all’evasione Iva dopo l’introduzione dell’obbligo di fatturazione elettronica nei confronti della Pubblica amministrazione e dell’obbligo delle imprese di comunicare tutti i dati delle fatture emesse e ricevute e delle liquidazioni Iva trimestrali” conclude la Confederazione.

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