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Italiani rapiti in Libia: chiesto riscatto milionario

I due tecnici italiani erano stati sequestrati assieme a un loro collega canadese a Ghat, nel sud del Paese nordafricano

Lo affermano fonti di sicurezza algerine citate dal sito web Middle East Eye

I rapitoriche hanno chiesto il riscatto sarebbero libici e algerini guidati da Abdellah Belakahal, un algerino esponente di al Qaeda nel Maghreb islamico

ROMA – Dopo settimane di vuoto e di silenzi tornano ad accendersi i riflettori su Bruno Cacace, 56enne di Borgo San Dalmazzo, in provincia di Cuneo, e Danilo Calonego, 66 anni, bellunese, i due tecnici italiani rapiti in Libia lo scorso 19 settembre.

I due connazionali erano stati sequestrati assieme a un loro collega canadese a Ghat, nel sud del Paese nordafricano.

Secondo fonti di sicurezza algerine citate dal sito web Middle East Eye, i sequestratori avrebbero richiesto un riscatto di quattro milioni di euro e la liberazione di due prigionieri che si troverebbero in carcere algerino.

Sempre secondo le fonti di sicurezza algerine i rapitori dei tre tecnici della società italiana che lavora all’aeroporto di Gath sarebbero libici e algerini guidati da Abdellah Belakahal, un algerino che sarebbe un esponente di al Qaeda nel Maghreb islamico in grado però di agire anche in proprio.

Il sito Middle East Eye specifica infatti che l’uomo avrebbe minacciato di cedere i tre ostaggi al gruppo di al Qaeda di cui fa parte o a una cellula dell’Isis attiva in Libia.

La richiesta del riscatto, sulla quale la Farnesina non si è espressa, e la composizione del gruppo di rapitori sarebbe in linea con quanto aveva affermato, tre giorni dopo il rapimento, il colonnello Ahmed al Mismari del Governo di unità nazionale guidato da al Sarraj e l’unico riconosciuto dalla comunità internazionale.

Sempre secondo quanto riporta il sito Middle East Eye, uno dei due detenuti di cui i sequestratori hanno chiesto la liberazione è il fratello di Belakahal, arrestato per traffico di armi.

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